venerdì 4 agosto 2017

Il simtomo mortale della nostra decadenza.

La svendita dell'Italia procede.
Dopo quella del 2001, ad opera di Romano Prodi e di chissà quale camorrilla nascosta, si accelera da tempo, sulle orme, ancora una volta meno evidenti, ma conformi, della Grecia.
Il ministro dimissionario Varoufakis non ebbe dubbi: i fondamentali dell'Italia sono da default.
Da allora uno Stato insolvente e corrotto, come la maggior parte della classe dirigente nazionale, ha ridotto, fino ad annullarle, le prestazioni sociali, passate nella cadetteria delle priorità ed aumentato fino ad assorbire tutte le risorse, la tassazione.
Che a prodigarsi, con premio budget, sino i finanzieri, notori ladroni della prima repubblica, in forma associativa omertosa, è un altro paradosso italiano, laddove, cioè, vige l'inversione della morale, a tutti i livelli, anche i più alti, anche i più bassi.
L'unico ceto, onesto per dabbenaggine, è quello mediocre, impotente in senso lato, impossibilitato a delinquere.
L'istruzione diffusa degli anni '70 del secolo scorso - con tutti i difetti, tipici di qualunque impostazione ideologica - aveva esteso l'istruzione e i tempi di permanenza agli studi.
Non è vero che le lauree erano bibliche: ce ne erano moltissime, alcune non erano conseguite fisiologicamente, altre erano trascurate per altri approdi culturali, non socialmente carrieristici.
La consapevolezza e la dialettica democratica erano molto più diffuse.
Ora siamo tornati all'istruzione censitaria, tarata sugli esami d'ingresso - che per i somari ricchi o gli eredi dinastici sono sempre aperti -, all'esosità delle tasse, che raddoppiano anche per un solo anno di "fuori corso" e per lo spostamento di un mese di una sessione di laurea, dall'attuale al successivo anno accademico, ad esempio. In questo caso, si richiede un' altra copertura annuale delle gabelle accademiche.
Che ne viene fatto di quei titoli, già svalutati di fatto, prima di essere aboliti, è sotto gli ochi di tutti e nella delusa esperienza di chi li ha recentemente conseguiti.
In sostanza non cambia niente, ma la qualità della cittadinanza si immiserisce ed è voluta dai riconvertiti padroni delle società e dei popoli.
Quelli "pig" sono sempre più sul mercato e, an che per questo, se ne vogliono far crollare le Costituzioni.
Cosa salta fuori adesso, avrebbe detto il professor Franz di Paolo Villaggio - di madre tedesca -? .
Il parlamento, prono anche alla propria estinzione, mantenendo però i vitalizi di chi ne ha fatto parte, ha sancito, prima di andare in ferie, che i beni culturali ed artistici sono alienabili attraverso procedure snelle e veloci e criteri di classificazione molto più lassi.
Nemmeno una guerra d'occupazione è riuscita in passato a sottrarre alla storia italiana, culturalmente luminosa, anche se poco nota fra le nostre fila, le sue memorie, i suoi reperti, le opere più sofisticate della sua arte multisecolare.
Tutto a beneficio degli speculatori privati, mercanti d'arte e capitalisti, raramente amanti e competenti riguardo alla materia, ma incettatori di beni rifugio, di accantonamenti negoziabili, eventualmente, a ben altri prezzi.
Una base di imperitura ricchezza.
Una volta ed anche ora, le opere d'arte venivano rubate e ritrovate, talvolta in qualche museo straniero che si guardava bene dal restituirle, mentre tal'altra finivano in collezioni private, di rado sfacciatamente esposte ai frequentatori delle case suntuose dei ladri committenti, più spesso celati in stanze accessibili solo ai proprietari furtivi e ai loro più stretti collaboratori.
Che questo avvenisse sul piano privato si poteva dare per scontato, ma che uno staterello come il nostro arrivasse a mettere all'incanto il suo patrimonio, la sua identità, ci consegna ineluttabilmente al terzo mondo dell'europa guglielmina. Da Napoleone a Kappler: non ci sarà più bisogno di rubare le nostre magnificenze culturali, si potranno comperare in un qualsiasi "suk", ovviamente con appropriata mancia per i venditori.

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