lunedì 2 ottobre 2017

Cammino alla cieca.

E' implicito nella finanziarizzazione della ricchezza e nel dissolvimento degli Stati nazionali, che ha, fra l'altro, riaperto la porta ai secessionismi in scala, l'abbandono temporaneo - come tutto - della produzione autoctona e della sua natura competitiva, che si basava sulla qualità.
La finanza espropria, provoca il fallimento di tutta l'economia precedente o la sua radicale riduzione in cifra assoluta e nelle dimensioni.
Così, l'importanza delle classi sociali ed il loro riferimento politico vengono meno.
Il mestiere di " laudatores temporis acti " risulta storiografico; si deve ricorrere all'analisi dei mutamenti recenti che, sotto la spinta di un globalismo che non poteva che essere finanziario, hanno sancito l'accantonamento, ridotto ad una nicchia difficile da mantenere, la base vampirizzata del suo progetto o circostanza.
Il processo, ancora in corso, non è stato istantaneo; non si è voluto o saputo ponderarne la crescita sostitutiva, né di provare a correggerlo, contestualmente ad una riformulazione pratica e alla ristrutturazione conseguente dei propri interessi.
In questo senso, le vecchie strutture capitalistiche, dall'impresa produttiva industriale, al suo venuto meno finanziamento affidatario bancario, ai sindacati, si sono suicidate, legate le une alle altre.
Ecco che, al netto delle (ri)conversioni personali, più o meno efficaci e caudatarie, tutti gli equilibri sociali sono andati in frantumi insieme alle facoltà identitarie che, mentre credevano di contrastarli e, nella prospettiva di un miraggio, di sovvertirli, li sorreggevano.
Conseguentemente al fallimento delle imprese sono venuti meno anche i lavoratori e il " nemico di classe " si è dissolto come una nuvola di fumo.
Le nuove generazioni di lavoratori si trovano ad interpretare e soprattutto se privi di sostanze economiche e culturali familiari, a ricadere nella condizione periodica di neo schiavi, altrimenti denominati, alla luce di un modello più astratto che sostanziale, che non li affranca.
Concetti quali uguaglianza, pur a loro volta prodotti dal dissolvimento dello stato feudale che aveva provocato lo scardinamento dei privilegi immobili della rendita fondiaria, politica, nobiliare, vengono contingentemente riattribuiti ad un un inesistente stato di natura, tradizionalmente giustificativo dello sfruttamento e dell'irrilevanza delle classi subordinate.
Le attribuzioni in parola si riferivano soltanto ad un'uguaglianza formale, giuridica, in una costituenda società divisa, eppur articolata, in classi.
Le classi, nel senso noto, sono sparite, si sono rimassificate e solo la gestione dei capitali liquidi, meglio ancora, matematicamente espressi, ha " creato " un diverso metodo di quantificazione del  "valore " e un rivolgimento riformulatorio, appena iniziato, della cultura "ancella", di sostegno, senza che ancora se ne apprezzino gli strumenti da privilegiare, da tutelare e di cui valersi.
Attraverso lo sconcerto per uno scenario improvvisamente desertificato, il popolo è ripiombato ( ma le nuove generazioni non ne hanno coscienza, solo disagio ) nel vuoto pneumatico dell'inutilità, tranne che occasionalmente e nella precarietà delle mansioni elastiche, per le quali la pletorica offerta non trova più un'organica e speculare domanda.
Mentre il modello sociale appare ancora fratturato e disarticolato, nella realtà sottostante è già stato cancellato.
Non sarà così per sempre, le forme che verranno assunte non ci possono appartenere.
Le mutazioni non passeranno del tutto inosservate ma, nell'impotenza, saranno assimilate al Fato, al destino, le apparenze prevarranno a lungo prima di svanire nelle delusioni.
I tempi sono imprevedibili, soprattutto da chi non ne vedrà la configurazione.
La palla di vetro è solo un oggetto privo di vista, è una scorciatoia per chi non è capace neppure di cogliere sintomi ed anomalie di un processo (in)interrotto, che interseca il succedersi delle generazioni.   

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