sabato 14 ottobre 2017

Senza prospettive.

Di scorporo in scorporo, di fusione in fusione, di vendite a spezzatino, di chiusura in chiusura, si dipana da decenni il ridimensionamento dell'Italia e delle sue imprese.
I quattro milioni di posti di lavoro, vantati dal governo con le sue leggi inibitrici dell'art. 18 e con il Job's act, sono tutti precari e le richieste di sussidio temporanee affrettano il prosciugamento delle casse previdenziali.
La bulimia tassaiola di un governo senza poteri e prestigio, le casse dell' I.N.P.S. saccheggiate, per le continue richieste di indennità di disoccupazione, sono lì a dimostrare che il liberismo imprenditoriale, senza coinvolgimento pubblico, adegua le esigenze fondamentali della cittadinanza agli utili azionari ed alla ferina lotta per salvarsi...e di continuare a lucrare sull'alienazione e lo sfruttamento di risorse umane, nell'aggiornamento della schiavitù.
Eppure, il contrasto dialettico, le manifestazioni oppositive del proprio scontento e delle condizioni precarie che la precarietà lavorativa necessariamente induce, si sfoga nelle rivendicazioni legal-umanitarie, nella rappresentanza degli esclusi fin dalla nascita: i figli degli immigrati, lo Jus soli, una banalità giuridica, dato che la cittadinanza per nascita è già prevista dal diritto internazionale.
La lotta si trasfigura in contesa fra il diritto per nascita a quello arcaico, archetipico dello Jus sanguinis, che ha una forte pregnanza e statitistica percentuale, in parte inconsapevole, nelle popolazioni indigene.
E' comunque chiaro che la cittadinanza ope legis implicita e fisiologica, introdurrà, fin dalle basi del diritto, un'ibridazione culturale, più strutturata ed archetipica, simbolica, della già presente ibridazione fra le classi sociali e le diverse apparenze culturali, che altro non sono che archetipi di costumi di riferimento delle appartenenze e delle opportunità, spesso imitative nelle classi confinanti.
Per queste guise, sostanziali adeguamenti ad un costume esportato da struture adattative sovrazionali, diventano ideologia imperiale, mantenendo, senza manifestazioni rilevabili, insofferenza, incredulità, ma polverizzate nell'indistinto corpus, nelle sue componenti, nella loro inosservanza e filtraggio.
Su tutto ciò si appoggiano le particolarità, riemerse dal sottosuolo nel quale erano state confinate e i particolarismi storici, alimentati popolarmente da pregiudizi, si rifanno sotto, si valgono della mobilitazione, della rappresentanza parlamentare accentrata e degli strumenti formali del diritto pubblico, pifferai magici di un volgo disperso, alla ricerca di un'utopistica omogeneizzazione in ambiti ristretti.
D'altra parte, anche le costruzioni statuali, le nazionalità non sentite, sono prodotti storici forzosi, hanno conosciuto dissoluzioni, si sono ricostituiti, attraverso spostamenti e conflitti succedanei ed ora stanno subendo una nuova dilatazione espansiva, prodromica allo scioglimento od alla frattura dei lacci.
Le lingue, svalutate in dialetti, tornano ad essere parlate nelle e dalle istituzioni, casomai affiancate alla lingua dell'altrà metà dei territori, come si è fatto con il francese nei consessi internazionali, nella diplomazia e come si fa ora con l'inglese a tutto tondo, trascinato dall'economia senza confini e senza regole, idioma di una concorrenzialità demolitrice, continuamente tesa alla distruzione, alla conquista ed alla vittoria, di un giorno, di un anno, di un periodo.
Le previsioni della Pizia sono facili conseguenze di premesse note, rassicurazioni tradizionali per chi le formula e mostri spaventosi per chi le subisce o paventa, a breve, di doverle, a sua volta, subire. 
Qui, infatti, si sospende l'analisi, in assenza di prospetti stabili.

                                                                                                                                                                                         

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