sabato 9 dicembre 2017

La differenza.

Sui marciapiedi al coperto, almeno dalle precipitazioni, sotto i portici, in centro, dove l'umanità di passaggio, in tutti i sensi, si coagula, ci sono tanti mendicanti.
Sono riconoscibilissimi: molti sono organizzati in triste combriccola, sono disposti in modo da raccogliere lungo il percorso quanto sfugge a chi li precede; altri ancora vanno su e giù lungo i corsi chiedendo l'elemosina, chi in abito da strada, chi travisato da pagliaccio che ride come quelli di Ruggero Leoncavallo.
In che cosa sono simili?
Nella compagnia, nel gruppo miserabile - alla Victor Hugo - che costituiscono, durante la loro giornata lavorativa, oppure, a fine turno, nell'accampamento gitano o per profughi.
Non è affatto detto che siano individualmente solidali: sono soggetti solo alla legge del gruppo e, in maniera più variegata, dell'ambiente in cui sono inseriti, in cui si sono trovati e dal quale non sono potuti uscire, adagiandovisi.
Ma ve ne sono altri, d'aspetto più incivilito e di età media e giovane, oltre ai sempiterni vecchi abbattuti, che dormono per strada, che chiedono inutilmente l'elemosina durante tutta la giornata, prima di ricoprirsi con un piumino o un assortimento di panni sporchi e una cuffia sul capo.
Sono i rifiutati dalla crisi, messi in strada da un padrone speculativo e buono solo a far di addizione e di sottrazione: l'algoritmo lo delega.
La cronaca dei morti quotidiani e il loro numero, una vera e propria strage da macello animale, per nutrirne altri, ci rammenta le decimazioni delle malattie virali che la storia, ma soprattutto la letteratura, hanno descritto e tramandato.
Non è cambiato niente, al di fuori del volano pubblicitario e ben lo sanno i frettolosi passanti, che accelerano e assumono espressioni caparbie, quando stanno per passargli accanto.
Gli unici che fanno qualcosa di concreto - con tutti i limiti e l'occasionalità, per chi ne fruisce, - sono i volontari, laici e religiosi che vi si dedicano.
Una piccola percentuale testimone.
Per tutti i bisognosi, la differenza consiste o nella solitudine o nella compagnia.
Nella compagnia si riproducono tutte le differenziazioni e le sopraffazioni della nostra natura animale, trasferiti in una convenzionale cultura, solo per questo imposta; nella solitudine si agitano tutti i fantasmi dell'esclusione da una condizione di relazione che si conosce e dalla quale ci si sente espulsi per una qualche incongruità.
L'incongruità, in questo caso, è insita nell'essere precipitati in una condizione ignota, insospettabile, anche se fino ad allora così evidente ma rimossa, della quale non esiste riconoscimento né solidarietà alcuna: raramente qualche centesimo.
E' da questa paura che fuggono i passanti assenti, ma non inconsapevoli, che danno per scontato che l'immolazione si sia compiuta e che non bisogni farsi coinvolgere in una situazione precipitata.
Per cui, per chi è solo, l'unica soluzione, per noi e per loro, è la morte, che già vivono nell'unico inferno materiale e, soprattutto, esistenziale, mentre una massa di auto-purganti, inconsapevoli di essere sottosposti a clistere, si involvono in spire senza esito, mentre il paradiso pagano, culturalmente archeologico di quello in uso, è appannaggio di chi li ha ridotti così.
Non ancora per chi, ( per averne vissuto in qualche modo la condizione? ), continua a soccorrerli.

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