mercoledì 13 dicembre 2017

L'opera da tre soldi.

Come se niente fudesse, la marcia di avvicinamento alle elezioni si nutre di divagazioni, battute, compiacenze, sottolineature, retorica popolare e rimozioni benestanti e ben pensanti, avalutative di tutto quanto precede.
Il gioco d'arena o salottiero si vale di coinvitati, propagandisti; gli usi abusati di qualche anno fa tornano ad essere celebrati: si parla d'altro per coinvolgere nello scherzo e far credere partecipi, come in un film comico da dozzina, gli spettatori.
Le maschere di codesto carnevale sono mutevoli, chi se ne cela emerge dalle retrovie di un potere ostruito, improvvisamente liberatosi per il superamento del vecchio guitto della commedia dell'arte che ha tanto successo perchè i protagonisti, gli attori, sono la proiezione democratica, di una Polis inetta e non necessaria.
Non vale più neanche la denuncia luterana dei mali o dell'imbecillità del mondo e dei suoi sistemi dissimulatori: se la rivalsa non è a sua volta, anche inconsapevolmente strumentale, perde di efficacia e di rappresentabilità.
Il popolo elettore si comporta individualmente negli stessi termini e, comunitaramente ne fa un'ideologia scettica dietro la quale confondere una moralità sbandierata, retaggio di un'infanzia ben educata.
Anche su questo brodo insipido, su questa mostarda rancida, si riece a cibarsi dell'identificazione plebea del popolo sovrano, diviso da chi ne rappresenta ed interpreta la beceraggine, proponendosi ad icona del luogo comune.
Anche Bertold Brecht era un retore della dissimulazione, un prete del rito antico ed accettato, che ora non avrebbe appigli al suo dire.
Lo spettacolo è alla sua ennesima replica: il mondo sta per cambiare ed a muoverlo sono quei simulacri di idee in cui tutti  possono riconoscersi, senza convenire su nulla.

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