lunedì 27 febbraio 2017

Dilemmi non semplificabili.

Se, fra ventitre anni, Bossetti, il sudicione omicida di quella povera bambina, che puntava quando usciva dalla palestra, uscisse in semilibertà? Se quel minus habes che, appena incarcerato cercava di flirtare con un'altra detenuta intravista, dando dimostrazione del movente sordido, ma imamturo dal quale era dominato e che non conosceva scrupoli, il suo istinto ad un appagamento primordiale e, come tale, violento, come si estrinseca nell'anarchia bellica, nel vuoto della relegazione "cambiasse" o fosse reso innocuo o ritenuto tale e potesse riassaporare almeno il sentore della normalità, mentre di quella poverella rimarrebbero solo le ossa, che cosa direbbero i parenti, i testimoni sopravvissuti di quel fatto? Che si dice di Alberto Stasi che tra soli sedici anni sarà di nuovo libero? Lui è comunque un borghese, come lo sono Raffaele Sollecito e Amanda Knox, sicuri, quanto assolti, omidici della coetanea studentessa inglese dell'Università di Perugia. Nulla, mi pare. E' dunque l'estrazione sociale a determinare il giudizio e, ancor più, l'imperituro rancore? Se, d'altra parte, questa sensibilità giuridica e civile fosse, nell'empirica banalità dei fatti e degli interpreti, astrusa, avulsa dalla realtà ed infondata e se queste persone fossero troppo incistate di cattiveria, alimentata dall'ignoranza o dall'insensibilità, per essere trattati secondo canoni di una civiltà astratta, per loro irraggiungibile? Se i ricchi e viziati rampolli di una borghesia benestante, liberi per questo da qualsiasi remora morale, al di là del bene  e del male, nel cui ambiente il riflesso condizionato di farsi sostituire,  con speciosi tentativi di coinvolgere rappresentanti di categorie inferiori, come l'impiegato riesumato dalla famiglia Stasi - dalla madre in particolare - possono farsi strafottentemente beffe delle più elementari norme di giustizia, beh, allora, tutto l'impianto giuridico sarebbe pretestuoso e l'unica garanzia alla quale è preposto sarebbe il mantenimento di questo o di quello statu quo, nel nostro caso la gerarchia della responsabilità all'incontrario. Se però i primitivi assassini fossero irrimediabilmente tarati, che senso avrebbe riconoscergli una resipiscenza, mentre altri, nelle medesime condizioni si preparano a ripetere un rito che è vecchio quanto l'uomo, se non meritassero pietà, allora perché non ucciderli? Libererebebro il piccolo mondo che li ha subiti e che li conosce dal timore di poter essere ancora in loro balia, mentre è potenzialmente in balia di anonimi soggetti , innocui per gli uni, letali per altri, che vivono e si muovono intorno a noi. Sono come una malattia subdola, un evento non preventivato, perché sconvolgente, che, con indifferenza alle nostre aspirazioni, alla nostra fatica, ai nostri progetti, li manda in fumo. C'è una cura? Vale la pena curarla?

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