lunedì 27 febbraio 2017

Gli elementi incongrui.

Il più giovane, anzi il meno anziano dei fratelli Savi, può uscire dal carcere, recarsi in una comunità protetta per ritornare nel suo antro alle venti e trascorrervi la notte. I parenti delle sue vittime hanno avuto giustificate parole dure, i rappresentanti delle istituzioni parole di circostanza a cui ha fatto eccezione il Procuratore Giovannini del Tribunale di Bologna, pubblico accusatore al processo, che ha ventilato la possibilità di rendere irredimibili alcuni reati. Legittima e giustificata anche quest'ultima posizione. Il "giovane" Savi, almeno, ha scontato ventire anni di segregazione: quanti delitti che hanno segnato persone e famiglie sono rimasti ignoti e impuniti? Chi ha scontato la "loro" pena rimanendo menomato nello spirito e nella volontà?  Non entro nel merito, né giuridico, né morale della decisione e dell'evento, non posso farlo e, istintivamente, sono anzi intimorito, non so se razionalmente, dal girovagare, sia pur controllato a distanza, di una fiera affrancata per caso o per errore, dalla sua gabbia, ma nello stesso tempo, la mia natura ingenua  coglie qualche possibilità  umanamente sostenibile; ma solo perché ha pagato ed alla contabilità della pena credo poco. E' indispensabile che la pena ci sia. Anche la sua vita, per contrappasso, è comunque segnata ed in questo si esplica la vendetta sociale, tanto parziale, in genere,  nel suo riconoscimento e nella sua applicazione. Da un "inferno" carcerario, nel quale si esercitano normalmente - con qualche eccezione e il carcere padovano dove è rinchiuso farà forse eccezione -  brutalità ed omissioni, passa, dopo un lungo periodo di "normalizzazione" al purgatorio diurno della comunità protetta. Pensare che un "pentimento" durato diciassette anni - quanti ne sono intercorsi dalla sua osservazione - sia stato solo dettato dal desiderio di uscire ( per lo meno dopo il suo inizio ), durante tutto il percorso, che redime in funzione della tortura senza esito, foss'anche la morte, di chi la sconta, ancora vivo e biologicamente, neurofisiologicamente coinvolto come prima, ma in un recinto che ne modifica le possibilità di estrinsecazione, che,con il vuoto, sollecita un riempitivo, un sostitutivo, una catarsi, all'inizio forse strumentale, col tempo "ingiudicabile", invalutabile. Giustamente - lo penso anch'io - chi ha visto uccidere fisicamente i suoi figli - altri non conoscono le cause del loro digradare, altri ancora non sanno e talvolta non possono o vogliono affrofondirne le cause - pone come ristoro parziale alle sue angosce, la "scomparsa" degli aguzzini ed assassini, eppur viventi e, dalla giovinezza ai confini dell'anzianità, suscettibili ancora di cambiamenti, non dissimili da quelli che avvengono nella fisiologia dei "liberi". Avviene, se avviene, in un altro contesto. Fanno ancora paura, per questo devono stare reclusi, per questo vengono a loro volta uccisi. Anche gli altri fratelli Savi hanno presentato domande per la semilibertà, ma sono state rigettate: anche quest'ultima è stata contrastata. Cambiamo la legge, a prescindere, oppure secondo l'entità del "peccato", come avviene nell'organizzazione penitenziera della Chiesa cattolica, che recentemente è stata accordata non a "vescovi", ma a semplici officianti sacerdotali. Si ripropone la dicotomia fra "giustizia" e misericordia, fra la legge del taglione ed "i delitti e le pene" dell'illuminismo, nel nostro caso lombardo.  Perché, altrimenti, non menomarli, lasciarli in questo stato e, alla fine, ma solo allora, eliminarli fisicamente? I Savi, almeno i più grandi, erano poliziotti, se non sbaglio ed avevano sposato, sotto mentite spoglie, la causa del crimine e dell'arricchimento, forse neppur pensando di potersela cavare per sempre, ma scegliendo, secondo un'ideologia molto diffusa in certi ambienti, di vivere un giorno da leoni, colpendo ignari impiegati, commessi e clienti, passanti occasionali ed invalidandone altri, come si fa, senza pagarne il fio, nelle guerre; tendendo un agguato ai giovani carabinieri che stavano per  intercettarli, spegnendone le esistenze.  E' possibile che tutti, ora, almeno tutti quelli che hanno opinioni "persecutorie", alzino la voce? E' possibile che vi siano voci dissonanti che preferiscano tacere per non essere investite dall' "ira bona" dei ben pensanti, ma anche dei conformisti pubblici? Escludo, fra costoro, i parenti, gli amici ed il Procuratore Giovannini. C'è anche da chiedersi che cosa penserà, in cuor suo, il cinquantaduenne Savi quando, alle otto antimeridiane, esce di prigione, si confonde con i frequentatori per lavoro dei mezzi pubblici, raggiunge la sua casa protetta e vi soggiorna, fino al tragitto contrario, nel buio della notte incipiente, almeno in questa stagione - fino al rientro, alle venti, nel carcere-dormitorio. Il suo "sentimento" è per forza limitato alla deroga osservativa e ridottamente partecipativa, sempre al chiuso, non gli consente di vagheggiare un recupero, in termini casomai emendati, di una vita normale. Potrà sentirsi affrancato, di nuovo libero e immemore delle cause che lo hanno portato in questa condizione? "Mors omnia solvit", la vita, finchè si protrae  non è semplificabile, rimane intrisa di ogni contraddizione, anche se il dolore straziante ed insopportabile  non sarà rimosso e resterebbe tale anche se un assassino, come tanti altri che usufruiscono degli stessi benefici, non uscisse mai più dalle sue segrete.

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