sabato 30 settembre 2017

La pretesa di incarcerare e la volontà di evadere.

Il particolarismo - che nel caso catalano è secolare, torna con forza a manifestarsi in europa.
Dopo il rerendum secessionista fra le contee del Regno unito ( dalla figura del monarca, come in Spagna e in Italia, per l'appunto all'italiana ), giunge al "redde rationem" referendario l'aspirazione della Catalogna di costituirsi in Stato autonomo ed affrancarsi dalla preminenza castigliana.
Il governo madrileno ha dichiarato illegale il referendum e, a stretti termini giuridici, ha ragione, ma, su base giudiziaria, una rivoluzione non si è mai fatta.
L'Italia non fa testo neanche in questo, anche se " mani pulite" è stato un lavacro effettuato sulla base di influenze esteriori, cogliendo di sorpresa i ladri, tranquilli nella prassi dell'impunità, che si erano attardati negli adusati riti, senza investigare i mutati orizzonti creatisi dopo la fine del comunismo e dell'equilibrio...anche minutamente spartitorio.
Comunque, la Spagna implode, portando alla ribalta le sue contraddizioni storiche ed etniche. Il puzzle lacunoso rischia di frantumarsi.
I Catalani, numerosi e rappresentativi non hanno avuto bisogno della guerra terroristica dell'ETA, per promuovere il piccolo separatismo basco.
La secessione forse avverrà ad onta e nonostante il probabile default ed esclusione dall'Unione europea del neo Stato, che comunque ridisegnerebbe, per conseguenza, anche la già periclitante ( anche e soprattutto per la corruzione del governo ) pig's collocation dell'atuale configurazione geografica e politica iberica.
Arriba Espana, il folcloristico adagio nazionale viene comunque messo clamorosamente in mora dalla volontà di separarsi e far razza per conto proprio di una congerie di singolarità che il globalismo non ha spento, come avrebbe voluto, che reclamano la loro identità.
Quanto il sentimento popolare sia strumentale ad interessi alieni, endogeni ed esogeni,  si comincerà ad apprezzare subito dopo lo strappo eventuale e comincerà la corsa ad accaparrarsi i favori della nuova nomenclatura, con la solita corsia preferenziale per i maggiorenti, gli opportunisti più attrezzati e, in misura vicaria, i loro clientes.
Addio bienvenidos, d'ora in avanti solo benvinguts
Anche in Italia le aspirazioni secessioniste delal Lega bossiana si sono rattrappite nel nazionalismo regionalistico di Salvini: è la solita declinazione compromissoria del costume nazionale che ha sempre e solo salvaguardato i potentati, le mafie che ne discendono e la mediocrità dei servi, infimi clientes.

venerdì 29 settembre 2017

La finzione democratica e le sue accentuazioni.

Le amministrazioni reazionarie statunitensi si servono, come si sono sempre servite, delle falsificazioni più marchiane ed hanno provocato spesso i "casus belli".
Poteva differenziarsi Donald Trump, che come tutti i "vincenti" ha costruito la sua fortuna elettorale sulle falsificazioni ed intrusioni concordate con sodali d'affari, ma avversari politici, per spostare a suo vantaggio una contesa che sembrava segnata a suo sfavore?
Tutt'altro che sì, anzi il disgustoso atteggiamento ha preso le fattezze del pretesto aziendale per piegare artatamente le norme ai propri fini.
A quanto vien detto, a Cuba, dove Obama e Raul Castro, con l'intermediazione di Francesco I, avevano riallacciato le relazioni diplomatiche, sono stati effettuati attentati acustici menomanti sul personale dell'ambasciata nord americana e, di conseguenza, quasi tutto l'organico è stato ritirato e ridotta la rappresentanza al solo "personale strategico", leggasi spionistico.
Anche i cittadini e turisti statunitensi non otterranno più il visto per recarsi a Cuba, per salvaguardarli dalla sordità.
Come se gli allarmi aziendali non suonaseero spesso con decibel dilanianti, ogni due per tre.
Una scusa imposta con l'autoreferenzialità di chi vuole far abortire un riavvicinamento diplomatico fra due Stati continentali, divisi da una guerra nella quale gli Stati Uniti, come in Vietnam, non sono riusciti a venire a capo.
Una forma ulteriore di volgarità e di prepotenza , in spregio ad un principio di uguaglianza, seppure formale, che rafforza il pensiero scettico e contrario di Fidel Castro, negli ultimi mesi prima della morte.
I trumpiani si sono comportati come una consorteria aziendale, secondo i limiti culturali del Presidente, rimarcando però una condotta fatta solo di esclusivi vantaggi e contraria a qualsiasi forma di dialogo che non contempli la stretta subordinazione alla proprietà.
I termini della democrazia e della sua negazione restano irriformabili e convivono in una finzione nella quale l'egosimo insensibile ed ignorante ha continuamente la meglio sul riconosciemnto della pari dignità delle alterità storiche e sociologiche.

giovedì 28 settembre 2017

Mediocrità appropiatrice.

Non c'è tregua nella fagocitosi della più scadente classe politica che la Repubblica abbia mai conosciuta.
I peones sono assurti al potere quando la burocrazia europea ne aveva espropriato i suoi membri più indebitati, perché più corrotti.
Possono infine soddisfare la facoltà piena di salassare le finanze pubbliche, di stringere patti leonini con la grande industra privata e con la finanza sostitutiva dell'apparato piccolo e medio, distrutto dalle banche.
Chiamare Pierferdinado Casini a presiedere una commussione di vigilanza che aveva poco prima criticato, è la dimostrazione dell'assunto.
Il politico di professione ( non ha mai fatto altro ) ha almeno due macroscopici conflitti d'interesse: la Banca di Bologna e Carisbo.
E' scontato che approfitterà della carica elargitagli in cambio di una spazzolata sul tavolo delle connessioni malmentose alla base delle bancarotte, prima coperte per fini personali e clientelari, per aumentare la sua intrusione ed influenza in un sistema fondante nel bene ( scarso ) e nel male.
Di concerto, la scoperta della politicizzazione della magistratura o almeno di una sua parte ( divide et impera ), equipara ed amplifica democraticamente l'ideologia berlusconiana sulla quale si era accanita quella parte, orizzontalmente affamata, quando era all'opposizione.
D'altra parte, l'ex Cavaliere torna in campo, a ottant'anni, per l'ultima salvaguardia delle sue aziende sponsorizzate da Bettino Craxi.
Mentre l'Europa ci ricorda ogni giorno lo stato in cui versano le nostre risorse - alienate per la spesa distributiva, con parcella per i distributori, costoro si compattano per l'ultimo potere criminale rimasto loro e lasciano alla popolazione l'onere esclusivo di sopportare le restrizioni ed il mutamento sociologico della nazione. 

sabato 23 settembre 2017

Il contagio dell'alienazione.

Lo stillicidio quotidiano di violenze sessuali, pur costituendo una preferenza giornalistica  di gran cassa mediatica, ha una cadenza ed un'estemporaneità, pur non ignote, ma sconcertanti.
Insieme agli omicidi in senso fisico, ne vengono riportati altri, mirati alla psiche, da lasciare lacerata e deformata su chi ne è vittima.
L'educatore operante a Bologna, con il suo post su facebook, ha solo espresso un'opinione che credeva neutra e che si fondava su di un'ignoranza ...madre di tutte le cattiverie, sia che si esprima dal basso, sia che discenda dall'alto.
La violentata, dopo aver messo a partito il pisello, si calma...Ed è propri in quella fase di rassegnazione che l'inconscio immagazzina il trauma che poi elaborerà.
E' possibile che, dopo i soccorsi e le cure, nell'immediatezza del sopruso patito, la destrutturazione dell'anima non sia ancora presente alla coscienza, che sembra intonsa, dopo un evento così umiliante ed estraniante. Si, estraniante dall'umanità.
Sarà di lì a breve, tempo pochi mesi, che si manifesteranno paure, interruzione delle relazioni sociali, l'avvertita impossibilità di intrattenere rapporti sentimentali, una chiusura nei confronti del sesso.
Si cominerà a non uscire più di casa, a temere il fantasma o i fantasmi che si sono materializzati quella notte, in quella corcostanza, si altererà la percezione della realtà per coniugarla solo nella banalità del male assunto a criterio interpretativo.
In questo risiede la differenza fra chi ha subito un'offesa così radicale e chi ne discetta solamente, anche al dichiarato fine di portare solidarietà e tardivo soccorso, quando ormai la persona oltraggiata non ha più fiducia nelal comprensione umana e sente di essere manipolata, a torto o a ragione, da una sollecitudine, ma anche un'invadenza non risanatrice, non risarcitoria, carente anche di comprensione.
Per questo riflesso, che si manifesta subito dopo il fatto e che resta costante per tutta la vita, le vittime si chiudono, non parlano, non credono di poter ottenere una punizione rassicurante dal sistema giudiziario e una solidarietà partecipe ed accogliente, senza pregiudizi, del sentimento sociale e anche amicale, almeno in termini superficiali.
Sanno che, come è potuto avvenire, così costituirà sensazione di compiacimento e di orgoglio nei suoi aguzzini e che i loro sentimenti saranno nascostamente condivisi dalla platea potenziale della sua mortificazione.
Da questo la necessità di fuggire dal mondo, interrompendo e compromettendo ogni progetto di vita e di evoluzione personale.
Limiti indotti che la società reale, quella organizzata non perdonerà, relegando le menomate in ruoli, in senso lato, conformi allo stato ignobilmente provocato.
Anche in questo, la vittima individuerà i caratteri della violenza estesa.
Al di là della retorica di maniera, l'abusata e l'abusato bambino restano irrimediabilmente sconfitti e la loro vità mutilata, ridotta a sofferenza ed a disturbi psichici, come ha voluto, neppur tanto e forse affatto  inconsapevolmente, chi l'ha provocata.
Chi compie questi gesti è in preda all'odio, un odio coltivato; gli ormoni ne sono solo il propellente.
La pena, spesso non comminata o inflitta in termini blandi - soprattutto se si tratta di giovani di famiglie agiate -, come se avessero il diritto di curare il proprio futuro, dopo aver indifferentemente compromesso quello di un'altra, raramente ignota, persona.
Oltre all'occasionalità bestiale, che normalmente viene identificata in breve tempo, c'è sotterraneo e spesso quotidiano o prolungato, l'abuso amicale, famigliare e parentale, ancillare e lavorativo.  
La nobiltà e bellezza dei termini si traduce in una paratia, in un mascheramento, in una relegazione della quale non si deve dare visione all'esterno, nella quale si sarebbe certamente coinvolti/e nel venir meno dell'ipocrisia sociale ed ambientale, nella quale si sperimenterebbe la natura strumentale degli istituti, che, in termini affettivi e sentimentali, possono e devono sussistere come incontro  sentimentale e identificatorio o/e come progetto, che non ha bisogno, in assoluto, di istituzionalizzazioni.
Lo stillicidio quotidiano - si diceva - di cronache repellenti, pornografiche, ma coltivate in forme dissimulate da persone di ogni età e condizione, appartiene ad una forma specifica di violenza endemica, etologica, nella quale si dimostra che la bontà della natura è una falsità dominatrice.
Per questo, chi se ne frega di chi è dominato, escluso, emarginato e relegato?
Una percentuale mai volutamente  investigata, mai volutamente assistita, nessun apprezzamento per chi ha subito e subisce, anzichè per chi pratica violenza.
Emblema specifico, ma estendibile.
In fondo, una pratica normale, scontata ed attesa ed anche uno strumento di punizione delle predestinate e devianti indifesi, da parte dei deviati.
Come le morti inutili, come il sacrificio - per noi umani ritualmente immolatorio - gli scarti prodotti continueranno ad affastellarsi.
Non sono una novità e nessuna norma li impedirà.
L'insignificante esecrazione della colpa confonderà le acque, perché sarà ed è un giudizio di maniera, apparentemente da tutti condiviso, mentre le violenze continuano.
Non si tratta di violenze aliene

martedì 19 settembre 2017

Lo stupro quotidiano.

Le analisi sociologiche, psicologiche sono importanti solo se non sostituiscono i fatti nella percezione dei lettori, di coloro che sono chiamati ad una mediocre esegesi, alla luce di convincimenti indotti fin dalla prima infanzia, come quelli di uno stupro in potenza, da subire o da infliggere.
Sfugge ai più lo stupro quotidiano che si consuma sulle coscienze fin dai primi anni di vita, nei quali sono già presenti gli stigmi della morale di classe - nei due sensi - e quindi di ambiente e di prospettive.
Lo stupro si concretizza nelle  dinamiche apparenti di gruppi omogenei oppure omogeneizzati, nei confronti dei diversi, di coloro che si disprezzano e che si vogliono emarginare ed espellere.
Lo stupro, una sorta di pedofilia ritardata non si consuma più materialmente, l'annichilimento dell'alieno, per questo aggredibile dal branco non riconosciuto, anzi tutelato, avviene ogni volta che l'assuefazione non sia più sopportata, se vengono meno i precedenti attestati di fedeltà, se il controllo a distanza, informatizzato, di un'organizzazione speculativamente orientata solo al profitto dell'unico azionista noto, rileva scostamenti non documentati in qualsiasi specie pretestuosamente aggredibile.
E' la ritorsione squadristica verso chi, dopo anni di collaborazione aprioristica, trova nella sua mutata configurazione familiare e, quindi, personale, gli elementi insostenibili di una prassi che se ne frega di tutto quanto non è funzionale al suo tornaconto e minaccia, perorandolo, il getto della spugna.
L'incentivazione minacciosa alle dimissioni, essendo difficoltoso il licenziare, se il candidato si difende.
Fino ad allora, la percezione del proprio ruolo, all'interno del modello era stata diversa: poi si è dovuto dire la propria ed ecco la reazione predisposta, il costume aggressivo e artefatto, che non conoscerà requie neanche dopo sbugiardanti sentenze della magistartura, ma si prolungherà, fra cavilli e ricorsi, all'infinito, a ribadire un vetero costume di provincia e di sfruttamento, per di più presuntuoso.
La modernità, tante volte invocata, non alligna nelle mercantili pretese dei capitalisti  e dei loro stipendiati, secondo escludenti criteri clientelari, che, ovviamente, negano.
Memento negare semper, anche l'evidenza.
Sono cose nostre, l'analisi degli esclusi è vana. sterile.
O con noi, alle nostre condizioni oppure fuori o ai margini.
Meglio se fuori e, ad onta della meschinità riduttiva dei salari, a fronte di pretese fuori dalle norme, si ricorre anche contro chi li aveva sconfessati, alla ricerca di un altro pretesto, l'ennesimo, per riprendere il filo dell'abuso e indurre patologie psichiatriche nelle vittime.
Nonostante questo, si mettono in campo sperimentazioni psicologiche, ad uso del padrone e si propongono consulenti anziani che hanno riciclato la loro esperienza pratica in consigli per essere sempre più plagiati nel contesto dello sfruttamento.
La stessa tipologia umana dei primi manager ideologici, in parte pensionati dell'industria, in gran parte costituiti da improvvisati predicatori.
Si trovavano a Milano periodicamente per dividersi i guadagni.
Contestualmente vennero i tagliatori di teste  all'interno delle aziende, capi del personale con budget sulle decapitazioni, con il supporto di vecchi arnesi dell'ispettorato informale.
L'analisi di Karl Marx, a centocinquant'anni dalla sua faticosa pubblicazione, non è mai stata più attuale, anzi, è destinata a rinascere come un mito salvifico, ogni volta che il capitale autoriproducentesi e la destra politica, anche nella sua versione plebea, si erge in sua difesa, per lucrare per sé posizioni di rendita.

Come la mafia al sud, sia nelle sue espressioni storiche, sie nelle proposizioni attuali. 
Insomma, storie ricorrenti di violenze  e congiure meccaniche, ad escludendum, fra congiurati di carriera e substrato clientelare strettissimo.
Se così non fosse, l'isolamento di coloro che sono stati messi in difficoltà non sussisterebbe. 
Fra stupratori e stuprati la veste è cangiante, ma la sorte inflitta è la spada di Damocle di ciascuno perché vi sarà sempre una coesione riflessa, i cui presupposti esistono, ma sono celati, contro chi sconfina.
Non esiste in questi contesti una tutela che non sia di testimonianza e non debba adattarsi a perorazioni private: la negazione del senso di appartenenza ad una classe e ad una condizione vicaria.
Se l'unica aspirazione è di essere cooptati, anche in ruoli non inquadrabili, senza attribuzioni e responsabilità, se si è disposti a tutto in queste more, a ranghi ridotti e dispersi, la contrapposizione è impossibile e lo stupro quotidiano continuerà, per queste ragioni, a prodursi.  


venerdì 15 settembre 2017

Basta poco per essere occupati.

All'ombra dei dogmi e degli strumenti adattati per certificarli, ogni affermazione apodittica si investe di credibilità comiziesca e passa, come un'allucinazione, sul capo piegato di chi dovrebbe invece confermarla.
Eppure, nonostante l'evidenza, dei fedeli se ne trovano, non, ovviamente, fra coloro che vi leggono la loro irrisione e confermata relegazione nel mondo del precariato e del bisogno.
In questi termini. il P.I.L. e l'occupazione sono cresciuti.
La retorica dei milioni di baionette si è trasformata nel milione di posti di lavoro: un mantra già della destra ed oggi, pari, pari - della sinistra compatibile.   
Statisticamente si è tornati sulle stesse percentuali di occupazione del 2008, anno di conflagrazione della crisi, ma la qualità di questo recupero numerico, al netto della rovina di tanta gente che non entra nel computo, come se non fossero trascorsi nove anni in absentia, è completamente diversa.
Tutte le assunzioni odierne sono precarie.
I ventidue milioni di occupati, su sessanta milioni di cittadini, sono la costante storica immutata dell'occupabilità italiana recente e da lì non ci si schioda.
E' anche e soprattutto una stima della sostenibilità sociale, delle famiglie, dei ruoli e degli stati e delle sempre uguali ( al netto delle ricorrenti suggestioni ) potenzialità speranzose.
Rispetto al 2008 ci sono almeno un milione di lavoratori stranieri, extracomunitari, che allora non c'erano od erano in numero molto minore.
Questi fanno statistica, quelli in arrivo sono esuberi a priori delle guerre subito prodotte dalla fine degli equilibri.
Per di più: la leva pubblica, anziché essere superata, si è trasformata in incentivi alle imprese superstiti o trasformate, camaleontizzate, attraverso riassetti finanziari e di scopo, che si sono concretizzati in venti miliardi di euro, stornati dalle tasche pubbliche in quelle private, nonostante che nessuna impresa assuma lavorotori che non le servono, per ricevere un  bonus, che non è altro, quindi, per loro, che un ulteriore plusvalore.
Un ulteriore carburante nella macchina dei profitti aziendali.
L'abitudine agli incentivi al privilegio si è rafforzata e non è detto che sia un vantaggio prospettico.
Si stanno invece cancellando e dequalificando tutti i posti di lavoro dipendente a tempo e salario pieno.
Sullo sfondo, lo sfaldamento dei servizi sociali, sanità e istruzione su tutti.
Il mondo cambia, cambiano i lavori.
Questo slogan è pigramente offensivo, dato che quando tutto cambia, perché nulla cambi - cioè sempre - i nuovi lavori sono soltanto i vecchi lavori riorganizzati, nominalmente ridefiniti, concretamente sottopagati, in cifra assoluta o in cifra relativa, in funzione delle ore lavorate e non pagate.
Quindi, i dati generici sull'occupazione, da poco sfornati, non costituiscono affatto il superamento della crisi sociale, uscita dai programmi, bensì, per apparente paradosso, ne attestano un aggravamento.
Aumenta sempre più un numero non rilevato: quello di coloro che lavorano in condizioni modificate, senza cambiare la loro di condizione che si conferma povera e precaria.
Così lavorando, aumentano gli occupati a chiamata e a rotazione e coloro che sono dichiaratamente poveri.
Se invece di rilevare solo dati disaggregati, si considerassero gli occupati in rapporto alle ore effettivamente lavorate ed al salario percepito, i ventidue milioni diventerebbero molti di meno.
Altrimenti, si sa: alla voce tempo parziale, con un'ora si è ufficialmente occupati.

La mitologia duale.

Le statistiche, come ogni altra tecnica impressionistica, lasciano il tempo che trovano, ma massificano l'individuo e lo inseriscono in un sistema oracolare, nel quale le risposte alle obiezioni sono già contenute nella premessa.
E' la fine - temporanea - della democrazia dialettica, costituisce invece il risultato, la presa d'atto indotta di una regolamentazione esteriore della propria vita.
Karl Marx aveva ragione: non c'è scelta umana, sia individuale, sia pubblica che non trovi giustificazione - almeno una giustificazione strutturale, dico io - che non sia materiale, economicamente compatibile, stretta nella camicia di forza della necessità, da cui, se si esce, bisogna evitare di farsi riassorbire.
Alla luce fioca di questa mediocre condizione si prendono decisioni imitative ed indotte, anche al livello decaduto degli Stati ex sovrani, cumulatisi nel conformismo competitivo comunitario.
Finisce l'ideologia comunista, ne fiorisce subito un'altra, pragmatica nella sua resa, di demando di se stessi ad un rassicurante padrone alieno.
Il recepimento di norme comuni in condotte altrimenti esogene si è fatto obbligo di piaggeria verso chi conta veramente nella scalcinata piramide dell'unum sentire.
Lo testimoniano molti elementi, non ultimo quello relativo ai ruoli apicali delle donne in molte versioni sociali, ma anche politiche, ministeriali, relative ad ambiti dai quali si riteneva che fossero esenti e che invece vengono ideologicamente rilanciati, più che rivendicati.
Uno degli strumenti propagandistici di tutto questo è stato il femminismo, classica opzione comunistica, applicata all'uniformità sottaciuta e negata del rifugio comune, entro il quale i posti sono assegnati secondo peso specifico.
Insomma, chi ne era escluso, va al potere quando quest'ultimo diventa apparente e si deve esercitare pedagogicamente, secondo programma.
Avviene in ogni ambito.
Quello delle vaccinazioni obbligatorie, ad esempio, esula dai termini scientifici ( per questo cogenti? ) entro i quali lo si vorrebbe ipocritamente inscrivere e tracima nell'autoritarismo omologante in basso.
Obblighi, in materie così delicate, nelle quali non possono essere note a priori le conseguenze di quindici vaccinazioni, sul sistema immunitario dei bambini e, domani, degli adulti, al solo scopo, invece trasparente, di addivenire ad un'uniformità pregiudizialmente salutistica che comporti una riduzione delle spese per il sistema sanitario, una sterilizzazione delle assenze scolastiche per malattia, una semplificazione più che autoritaria, foriera di una progressione negativa, potenzialmente nefasta.
Tutto ciò che si presume scontato è un' arma che si cerca di indurre le persone ad usare contro se stesse, a beneficio di chi le suggestiona e le opprime.   
Le imposizioni, di qualsiasi genere, sono incompatibili con la liberalità dei gesti e dei pensieri: servono ad irregimentare e a suscitare piaggeria, non supportata da analisi e conoscenze, le quali vanno confrontate e discusse.
Al contrario, vengono caricate come un fardello sulle altrui spalle, che spesso le accolgono come simbolo di inclusione e di progresso.
L'eterno mito dei vinti..

L'apparente oggettività.

Che dire della dea bendata e dei suoi sacerdoti e vestali?
Si sa che i magistrati sono inamovobili, a meno che un loro organo di autogoverno, i probi viri della situazione, non ne sancisca l'incompatibilità ambientale.
Insomma bisogna stare al gioco.
Quale?
Quello delle Procure, in autonoma sinergia e potenziale contrasto con carabinieri, poliziotti, prefetti e entità localmente influenti, in un domino carrieristico intersecato?
Ma come? Se i magistrati oltre che inamovibili, fanno carriera solo per anzianità?
Si, la carriera di un travet qualunque, sia pure infinitamente più pagata.
Per altre funzioni e retribuzioni fuori mercato, servono colpi ad effetto, indagini mirate, risonanza mediatica, evidentemente adeguatamente ripagata.
Lungo il percorso, il cursus honorum, si collabora e si confligge con altri apparati e corpi dello Stato, con gli uomini e le donne dei quali ci si contende l'uso strumentale delle collaborazioni.
In sede di incrocio dei dati, si spara ad alzo zero sui collaboratori del giorno prima, che si rifanno, oltreché con le scontate frasi retoriche di maniera, con contro rivelazioni e messaggi in codice.
A buon intenditor, poche parole.
In ambito magistratuale ci si rifà esclusivamente al Foro interno, non nel senso di interiore, ma proprio di interno, autoassolutorio o autocolpevolizzante, della corporazione.
L'effetto è di un incrocio in progress di tutele da smantellare, di interessi da salvaguardare o distruggere, di menzogne formalizzate.
Il gioco delle parti rivendica la sua sacertà, la sua esclusività, nel cui ambito, ogni tipo di artefazione è possibile.
La stessa artefazione di ogni altra predicazione ex cathedra, riproposta di generazione in generazione a tutela degli status dominanti e, attraverso di essi, dei propri.
I nomi da partigiani degli alti gradi dei Carabinieri, il lavoro sotterraneo offerto alla formalizzazione giudiziaria, l'attacco con l'immediata chiusura a riccio, la replica che mette in luce riserve, sospetti e contrati in corso o in potenza, fra i potentati dello Stato, da ciascun di essi servito.
All'accusa segue la reazione rivelatrice: Medice, cura te ipsum!
Qua di medicine non c'è traccia, di intrugli sì, mentre i paludamenti metastorici e metasociologici vengono stracciati. Quando accade si cerca rifugio nell'alveo amico, fino a che lo si può considerare tale.
Le indagini calde, non è detto se importanti e, casomai, per chi, anziché svolgersi con ordinaria semplicità e libertà, vengono ordite in maniera cospiratoria, sospettosa.
I collaboratori di un tempo vengono giudicati e colpevolizzati se e quando si vuole giustificare un'inerzia.
Inerzia pigra, ma neutra, o soccorso a qualcuno messo in difficoltà dagli esiti, sempre riconsiderabili, delle indagini?
Oppure calendarizzato soccorso di figure riemergenti?
Si fa spesso uso, anche a fini privati, di carabinieri e poliziotti; si può condizionare, quando non determinare, l'agire di un giudice?
Perché farlo?
Sta di fatto che, mentre in determinate fasi dell'indagine fiorisce la letteratura di denuncia , in quelle successive, si coagulano ricomponimenti del puzzle impazzito, che forniscono alle vittime, prima rei, la facoltà di denunciare complotti.
Evidentemente i complici erano solo quelli a noi avversi.
Esiste la possibilità di comportamenti non inficiati da linee di condotta eteronome, fossero anche le proprie in sinergia con la dialettica tossica degli interessi rappresentati dalla politica?
Probabilmente no.
Il maccheggio potrebbe essere finalizzato a tenere sotto schiaffo protetti, protettori ed esegeti, attraverso una combinazione proteiforme della legge e della vulgata, dei principi e della prosaica indifferenza a tutto che non sia il proprio tornaconto.
Il gioco, l'obiettivo indicato sotto traccia è solo questo e la sua teatralizzazione ne scopre l'inattendibilità.
La burocrazia è sempre serva e, soprattutto, non ha principi.

giovedì 14 settembre 2017

Cronache di fine estate.

In estate, il clima luminoso e la lunghezza delle giornate, coniugati con la lunga permanenza all'aria aperta, le cronache scarne, o affrancate dalla politica e dall'economia, si affollano di stupri.
La savana interiore si rianima e dà luogo a quella violenza, individuale e di gruppo insita negli ormoni e riflessi condizionati di giovani errabondi.
Il clima festivo induce all'accantonamento: nel senso comune, sono fatti scontati.
Ci sono sempre stati, avverranno sempre.
Si fondano tutti su di un abuso, su di un esercizio di potere, maschile sul femminile, attivo sul passivo.
Da parte femminile, oltre all'invidia, la rivalsa ideologica, la reazione isterica e nevrotica, l'artefazione e il sadismo dominatore sulle personalità maschili più deboli, incolpevoli.
Tutto si ricompone nei termini biologico-culturali fra protagonisti alla pari, socialmente, ambientalmente o secondo gerarchie opportunistiche.
Assolutori o colpevolizzanti secondo appartenenza, anche quella simbolica, presunta.
I fatti restano, nella loro nudità, oggettivi.
Soggettive, invece, le motivazioni.
Nei termini del giudizio sommario, le sanzioni divengono, nella discussione occasionale, implacabili verso i diversi da noi, assolutamente giustificatorie nei confronti dei nostri, in rapporto ai quali la responsabilità viene sempre attribuita alle vittime, indegne a priori.
Questo isolamento, chiaramente avvertito ed implicito nell'atto violento che hanno subito, le induce quasi sempre al silenzio, alla macerazione interiore ed al senso di oggettivata sanzione morale.
La loro, non quella dei loro accettati aguzzini, forti, per questo, di sicurezza, sarcasmo e dileggio.
Esiste certamente una suggestione abusiva e di gruppo - per darsi conferma e coraggio - da parte di emarginati sociali, anche giovanissimi, sotto l'impulso scomposto degli ormoni vorticanti per il corpo.
L'aspirazione occlusiva alla preminenza nasce molto prima. Da subito.
Come tutto quanto è frutto di opinione e norma legale conseguente, non è pensato orizzontalmente per ogni persona di entrambi i sessi, bensì è aproristica sanzione per uno pseudo principio a cui officiare.

Una semplificazione pericolosa e inutile.
Vengano le punizioni, siano severe, ma non saranno codeste a inibire un costume, frutto di un impulso, vigente da sempre e che continuerà a vigere,
Le presunzioni ideologiche e normative non saranno deterrenti, ma solo pubbliche manifestazioni di vellicazione degli istinti tanto inquisitori e sanzionatori, quanto goduti internamente.
Esistono sempre due dimensioni: quella punitiva e quella interpretativa, intendendo, con quest'ultima, l'attitudine a comprendere - non a giustificare - le cause, l'iter interiore di fatti ripetitivi e ripetitivamente invalidanti, spiritualmente omicidi.
Cogliernene la volontà annichilente, il disprezzo simbolico, la sociopatia, sia che si eserciti da parte di barbari plebei, sia che sia l'attestato di una supremazia del denaro, dell'ambiente di riferimento, dell'essere di più verso chi è di meno.
Questa presunzione si trasferirà, pari pari, nella psiche dei protagonisti e delle loro vittime.
Esiste anche un'arte perversa e autorisarcitoria di incentivazione al coito per farsene strumento di ritorsione verso un'icona di uomo percepito come profittatore, mentre nei commenti di maniera, se da  un lato non si attribuiscono ai due carabinieri gli stessi epiteti rivolto agli estracomunitari di Rimini, dall'altro se ne annunciano le sanzioni per motivi d'onore, per la divisa e altre  ipocrisie.
Lo sanno le prostitute che devono prestar loro servigi gratuiti, calmi e ripetuti, ad esempio e lo sanno anche le gerarchie militari e ministeriali che non possono far altro che affondare definitivamente gli improvvidi che si sono fatti beccare, che hanno scelto male le loro vittime, che hanno presunto troppo dalle loro divise, come spesso accade a chi ha un ruolo apicale istituzionale o auto attribuitosi.
Basta che non si sappia, che la parte soggiacente non abbia  o non ritenga di avere possibilità di rivalersi legalmente quando subisce degli affronti.
Dopo di che non si dà luogo a procedere, le prede diventano mignotte, il cerchio pseudo protettivo si chiude sull'omertà. 
In queste cronache di fine estate si consumano le ultime accelerazioni sessualmente violente, prima che i venti freddi smorzino i bollenti spiriti, eccitati anche dalla leggerezza delle vesti, in attesa della prossima stagione calda.
Nelle Puglie salentine, casomai ad intervalle biennali, l'estate si conclude con qualche omicidio e l'utilizzo dei pozzi per occultare i cadaveri.
In ciascuna di queste circostanze, entrano pesantemente in gioco le famiglie, le contese, le sceneggiate, le false accuse , l'immolazione succube di figure estranee, la partecipazione alla fase occultatoria della vittima, l'accusa di averla dovuta uccidere perchè, a sua volta, fomentava, come prova d'amore, la soppressione della famiglia rivale, per assorbire l'amato bene nella propria.
Da questo sarebbe derivata la tutela della propria Gens, con l'eliminazione della mortifera seduttrice.
Alle diatribe fra i genitori, versione georgica dei Montecchi e dei Capuleti, subentra l'iraconda follia della sconfitta, della perdita, anche quando avviene a cura delle istituzioni preposte, la fine per la rivelazione e per il venir meno dell'impunità.
Nessun senso morale effettivo, evoluto, solo la ferocia affiancatrice anche dei paggiori delitti, la partecipazione  ( reciproca? ) ad una lotta per l'affermazione e la sottomissione altrui, la vocazione femminile a raggiungere lo scopo per interposta persona, la propria, per iluderlo di poterla fare propria, ma con tutta la sua trionfante famiglia al seguito.
L'inconsulta, ingenua prevaricazione elementare del maschio alfa ed omega, caput et finis.
La barbarie archetipica va in letargo.
Al risveglio, alla prossima estate!  

domenica 10 settembre 2017

Un viaggio culturale nel globalismo delle religioni. Terza parte.

Il viaggio nella terra teologica, dove il pensiero religioso ha sostituito quello filosofico ( sarà poi ibridato dai dottri della Chiesa cattolica, che recupereranno e adatteranno - maldestramente - il pensiero greco - di alcuni filosofi in particolare - ) è stato anche segnato simbolicamente, passo, passo, da memorie monumentali, ora per sopravvivenza e identità, ora per pretesa di dominio, passando per un'eresia giudaica che pretendeva di sovvertire la Legge ( a cui fanno riferimento anche gli ebrei moderni, per segnare la loro difesa nel mondo gentile ), ribaltarla nel senso dell'amore, aprirla al proselitismo.
Come sia andata nella prassi storica, sappiamo più o meno bene, ma, del resto, quel regno non è di questo mondo.
Proiezione, trascendenza, o abile sofismo?
Sul Mar Mediterraneo, il Mare nostrum e via verso i confini attuali, entro i quali, in un tempo biblico, vi fu crogiolo e volano  di congiunzione e di reazione fra commerci e ideologia, humus liquido di evoluzioni (?) storiche attuali, che non hanno cessato di combattersi, come quando conobbero una non accettata osmosi.
Stretto fra il Libano, la Siria, la Giordania e l'Egitto, a cui ha restituito il deserto del Sinai, fulmineamente conquistato durante la guerra dei sei giorni, Israele riproduce il ghetto della sua sottomissione, ma, tutelandosi e reagendo alla rinnovata ostilità degli arabi ( tutti i confinanti si coalizzarono per scacciarli e riappropriarsi di quel lembo di terra ) è diventata - non poteva essere altrimenti - armata, occidentalizzante, pronta, questa volta, a far valere la sua autonomia nei confronti dei totalitarismi religiosi e politici.
Una pretesa impolitica, in situ. Un cuneo altrettanto granitico.
Israele è una Stato laico, per il quale la religiosità è un fatto privato.
Resta l'identità storica degli ebrei, di un popolo che non vuole scomparire...come gli etruschi, lasciando solo le influenze, inavvertite, del suo passaggio.
Le sue lingue ufficiali sono l'ebraico e l'arabo e si trova già nel continente asiatico.
Fra la terra di Sion e la Giordania si trova il Mar Morto che, in realtà è un grande e salatissimo lago, lungo cinqunta chilometri e largo quindici. E' alimentato dal fiume Giordano.
C'è poi il Lago diTiberiade, di acqua dolce, anch'esso esteso per cinquantatre chilometri di circonferenza e per ventuno chilometri di lunghezza.
Sul mar Morto si può riposare ad En Gedi, un'oasi sulla sua sponda occidentale.
I fortilizi non mancano - da cui il mio cognome - e, come quasi tutti gli altri monumenti o almeno i più significativi, hanno origini antichissime.
Se il fondamentalismo musulmano prevalesse, sarebbero distrutti.
Uno per tutti: Masada, nella giudea su orientale, a quattrocento metri di altezza e a cento chilomteri a sud est di Gerusalemme .Il "deserto dei Tartari, su di un picco per avvistarne l'arrivo, di quel popolo e di quel tempo.
Ma l'uno e l'altro, gli uni e gli altri esistono veramente o sono una delle tante sovrastrutture culturali?
E i cristiani, non ancora cattolici, né protestanti?
Sono simboleggiati dalla Basilica del Santo Sepolcro, a Gerusalemme, erta sul luogo della crocifissione, della sepoltura e, per chi ci crede, della resurrezione di Gesù.
Stabilmente vi riposa dal 1100 Goffredo di Buglione, feudatario e crociato  ( la prima ) belga che morì in terra santa a soli quarant'anni, forse non pochissimi per quei tempi.
Ebbene, in quelle terre con vestigia antichissime, troviamo anche Tel Aviv, città cosmopolita, eppur contenuta, che fu fondata solo cento anni or sono per accogliere i primi migranti che cominciarono ad affluire in Palestina dal 1918 e  per diventare la prima capitale provvisoria del costituendo Stato d'Israele.
I primi insediamenti, spesso armati, cominciarono quindi molti anni prima, in un'itineranza lenta e progressiva, una gestazione e poi una nascita.
Oggi non vi si trova un elemento di origine autoctono; vi convivono ebrei di ogni cultura, origine e costume. C'è anche un quartiere yemenita.
Uno costume soprattutto: quello del divertimento unificatore, fra spiagge, bar alcoolici, luoghi di ritrovo e di piacere, per etero e gay. E' anche, però, un centro finanziario.
Piena di piste ciclabili, di parchi e di una lunga passeggiata a mare, come tutte le città rivierasche.
Lasciata questa anomalia, torniamo alla storia mitologica.
In Israele si trova, in concorrenza con la Resurrezione, il secondo tempio di Re Salomone.
Il primo fu distrutto  da Nabucodonosor, sovrano babilonese ( poteva essere altrimenti? ) nel 586 a.c. 
Questo tempio verrà definitivamente superato, quando verrà il Messia e lo riedificherà, sostituendolo definitivamente nelle sue vestigia meta-storiche.
La Città vecchia di Gerusalemme è contenuta entro le sue mura, patrimonio dell'umanità.
Il nucleo originale, la Città di Davide, edificato sul Monte Siani, in rimando alle tavole della legge, è rimasto esterno, originariamente a parte, rispetto alle ( ancora ) attuali Mura. 
Gerusalemme fu la capitale giudaica ben prima dell'avvento del nostro Messia, figlio di Dio, il loro Dio.
Lo fu dal decimo al sesto secolo a.c., avanti cioè alla nascita del nostro salvatore... per noi, ma non per loro.
Gerusalemme si trova sull'altopiano fra la costa orientale del mar Mediterraneo ed il mar Morto, ad est di Tel Aviv e a sud di Ramallah, a ovest di Gerico e a nord di Betlemme.
Un punto fermo dell'excursus nel vecchio testamento.
La nascita di una comunità nazionale stanziale si riannoda dunque a una storia fatta di contributi globali, portati del nomadismo dei suoi componenti.
L'apparteneza è stata ed è duplice: quella degli Stati di residenza e quella, interiore e assoluta, come il Dio monoteista israelita che inventarono.
Il fondamento delle religioni  che vanno per la maggiore in una vasta area del mondo - ma non in tutto - rimbalza sulle articolazioni mitologiche di ciascuna e il ritorno alla terra promessa  deve convivere con una guerra, esplicita e subdola.
Minoranza vincente su di una maggioranza ostile.
Hanno ragione gli oranti lamentosi davanti al Muro del pianto: per loro non ci sara mai pace. 

sabato 9 settembre 2017

La simil civiltà.

Il Consiglio d'europa ha sbertucciato l'Italia, già troppe volte richiamata, circa la primordialità delle sue carceri, sovraffollate ed in cui la violenza è ordinaria.
Per i detenuti, spesso anche per reati modesti, non è previsto lo spazio vitale che le norme pretendono; i secondini sono di frequente protagonisti di pestaggi e le percosse iniziano fin dall'inizio, al momento del fermo.
L'Italia ansima irritata: "ma guarda se tutti devono mettere il naso fra questa fetenzia, verso la quale nessun diritto deve essere invocato. Certo che li prendiamo a calci e bastonate, non siamo in un albergo e poi non danno retta".
D'altronde, noi secondini su chi potremmo rivalerci, verso chi potremmo esercitare un potere gratificante?
Effettivamente le aree sociali di depressione e di insignificanza, che cercano surrogati, sono tante e in questi ambiti si recluta la sbirraglia, quella che non è reclutata dalla malvita.
Se quest'ultima è assimilabile all'imprenditoria privata alla ricerca di una non solidale preminenza, anche in ambiti marginali, la seconda, marginalizzata a sua volta, ha scelto di esplicarsi all'ombra del potere che si serve di loro, li paga poco, ma li lusinga facendo loro ritenere di godere di impunità se rivolgono i loro abusi solo sui reietti.
Anche in questo caso è la Germania a dettare la linea: nelle sue carceri si gode della palestra e di altri ambiti sportivi, si può leggere, studiare e dedicarsi ad una crescita lavoratva metodica.
La rieducazione e poi l'inserimento non sembrano parole al vento, ipocrisie da prendere a calci.
In tutti gli altri, con l'eccezione ancor più evoluta dei paesi scandinavi, non è così. Osta anche l'invidia sociale che, spesso, ritiene privilegiata - figurarsi per questi aspetti - la condizione dei detenuti rispetto alla loro, che sono liberi ma completamente priv idi capacità e competenze, anche le più umili, per fare da sé.
Una politica di basso livello vellica questa istintività plebea rancorosa e teme di venirne penalizzata.
Invece i diritti sono diritti ed attengono ad uno stato di totale costrizione.
Se la vita quotidiana non è del tutto abbrutente, se i detenuti studiano o acquisiscono l'essenziale per svolgere un lavoro, la funzione concreta del luogo di segregazione acquista un'altra veste, un'altra dimensione.
Quella che dovrebbe essere normale.

Che c'è di strano ( estraneo )?

Che c'è di estraneo ai fatti: nulla.
Sono lì e sono interpretabili solo alla luce delle motivazioni, delle circostanze, ma i fatti restano immutabili.
Su questa base la giustizia si esprime.
Proprio per questo, dopo Berlusconi e per gli stessi motivi o interessi, l'ectoplasma di Renzie, il PD solo di governo, vuole, per l'ennesima volta imbavagliare i giornalisti e demandare al riassunto del ministro della giustizia il contenuto delle intercettazioni.
Da tempo la legislazione ha ricacciato la magistratura nel perseguimento della criminalità comune, inibendole di occuparsi di quella politica, affaristica, lobbystica, come la legeg prevede e per la quale dovrebbe essere uguale per tutti.
Ma l'Italia è un paese cattolico e immorale, resterà sempre nelle retrovie del mondo evoluto, economicamnete, socialmente e culturalmente, e adatterà le cose tramite il clientelismo e la fedeltà, mai la lealtà, fregandosene di chi è fuori, per necessità e perché non si assoggeta.
E' anche una nazione intrinsecamente fascista e cattolicamente corporativa.
Due caramba hanno violentato due ragazze dopo averle raccolte per la strada. Chissà quante altre volte lo hanno fatto, soprattutto il più anziano, il capo pattuglia.
Lo fanno, l'hanno fatto e lo faranno.
Forese la vicenda non sarà insabbiata, come il caso Regeni, perché sono incappati in due studentesse statunitensi e quel paese, tramite le sue ambasciate, tutela sul serio, a trecentosessanta gradi, i suoi cittadini, in qualunque parte del mondo ed è in grado di farsi valere, senza abbozzare come invece fa sistematicamente l'Italia.
I carabinieri, la polizia hanno sempre goduto dei favori gratuiti delle prostitute, si dice che ne abbiano anche cogestito qualcuna.
Erano usi, nel recente passato, a far retate di africane, portarle sui colli, farsi servire e poi lasciarle a recuperare la pianura a piedi.
Come nelle caserme e nelle questure pestano gli arrestati, così fuori di esse si trombano le malcapitate che si trovano, per ragioni a loro note, nella condizione di non denunciarli.
Spesso si tratta di persone, di donne senza prestigio e appoggi ambientali che devono subire.
Oltretutto c'è il riflesso di chiusura che segue a queste umiliazioni e su cui contano gli abusanti.
L'abuso in genere si fonda sul senso di disprezzo che qualunque di questi gesti induce nelle vittime e congiura, insieme alle minacce, esplicite ed implicite, a farle tacere.
L'unica difformità consiste nell'essere esercitato da chi si è messo dalla parte del potere e conta di poterne usufruire.

A fondata ragione, ma, forse, non in questo caso.
I massacratori della scuola Diaz di Genova hanno anche fatto carriera; questi due, se gli americani saranno inflessibili, non la passeranno liscia e dovranno(?) condivedere la cella con i loro perseguiti o perseguitati.
Saranno, in tutti i sensi, cazzi loro.
Vedremo se la lesina italiota riuscirà a trarli d'impiccio, casomai in un lungo periodo di tempo, come Girone e La Torre.
Ricordate il tenente Cocciolone, pestato e piangente in mano agli iracheni, dopo averli bombardati e che gli chiedevano che cosa gli avessero fatto di male per indurlo a questo.
Non ricordo se fu lui oppure l'altro aviatore italiano abbattutto, ad essere sospeso dal servizio, giusto per dar l'impressione della severità indipendente, quando vendette il reportage sulle sue nozze ad una rivista per oche, sfruttando la sua notorietà.
Tutte icone di un'Italia geneticamente opportunista fin nella midolla delle ossa.
Che c'è di strano, di estraneo e di inaspettato?
Dopo aver relegato di nuovo la gisutizia, privandola degli strumenti per operare e introducendo norme che ne sviano e ne inibiscono l'azione, non essendo riusciti a metterla sotto il controllo del governo, la privano di fatto dei contributi delle intercettazioni, che saranne mediate da un ministro di garanzia e di controllo, che diventerà un censore e brigherà con i capi delle Procure.
Per evitare che il popolo conosca i fatti, si vuole impedire alla stampa di renderli pubblici.
Un atteggiamento da regime, un costume d'omertà paramafiosa o peggio.
La battaglia, almeno per la democrazia formale e lo stato di diritto, ritorna alla base, quella sociale misconosciuta, perché anche di quella giudiziaria, troppo pagata e viziata, almeno nelle sue legioni di burocrati ( quante donne, severissime, sono approdate nelle salmerie degli stipendi, delle ferie e dei tempi comodi e formalistici di sentenziare? ). L'aspirazione a quel posto garantitissimo e strapagato è cresciuta, ormai da molti anni e non è esente da raccomandazioni per ragioni che con l'attacco alla grande criminalità non ha niente a che fare e tende ad incrementarsi.
Insieme a loro, polentoni di sesso opposto, al massimo dottrinari e sacerdoti, ma bene al caldo.
Che c'è di strano?
L'abuso dei guardiani del potere alligna ovunque, da noi è becero, orizzontale e satiresco.
Se non, che vantaggio ci sarebbe ad esercitarlo in nome e per conto?
Carramba!
Abusi sì, ma parlarne mai.
Che c'è di strano? 

venerdì 8 settembre 2017

11 Settembre 1867.

L'undici Settembre di centocinquant'anni fa, veniva dato alle stampe Il Capitale di Karl Marx.
L'industria aveva compiuto, a sua volta, un secolo e le sue conseguenze sociologiche si erano ormai estrinsecate e sedimentate nei luoghi dove aveva attecchito come una delle tante forme antropologiche di dominio e di soggezione.
Si andava costituendo, allora, la classe operaia, che avrebbe conosciuto per poco più di un altro secolo, emancipazione, sogni e delusioni.
La classe operaia fu partorita, nel concetto, proprio da Karl Marx.
Fino ad allora, tutta l'economia ufficiale aveva trattato il guadagno ozioso del capitalista, come statico profitto o rendita.
Aveva cioè apprezzato il fenomento solo nell'ottica di chi deteneva i mezzi di produzione attraverso il possesso dei capitali, del denaro.
Prodotto da chi?
Dagli operai.
Il plusvalore è l'esito strumentale del corollario monetario, ottenibile solo attraverso il sacrificio di altrimenti inutili formiche operaie.
Il plusvalore diventa la forma specifica mediante la quale si manifesta lo sfruttamento.
Non l'unico sfruttamento, ma quello proprio del capitalismo.
Come ottenerlo altrimenti che ottenendo che i lavoratori lavorino, per una parte, un'appendice della loro giornata ed oggi con i guinzagli tecnologici sempre appresso, gratuitamente per il capitalista?
Quest'ultimo cerca con violenza di generare plusvalore mediante il pluslavoro: non basta più che l'operaio produca in generale, deve produrre plusvalore, al netto di quanto, lui e tutti i suoi compagni, guadagni.
Il meno possibile.
L'operaio, il lavoratore in genere, deve servire, da estraneo, all'autovalorizzazione del capitale.
Anche pochi minuti, moltiplicati per la massa, di gratuita prestazione, spostano ricchezza in maniera esponenziale e costante, come i centesimi nella formazione dei prezzi, nelle tasche dei padroni, con un termine mutuato dal feudalesimo terriero, ma tutt'altro che dispiacente per coloro ai quali veniva attribuito.
Il faticoso affrancamento dell'intelletto, ciò che è pubblico e quindi estraneo al profitto di questo o di quel "pincopalla", il tempo libero o festivo, sono, per coloro che ne sentono rallentato il loro guadagno, dei fronzoli.
Loro che di fronzoli vivono per vendere un'immagine.
" Dopo di me. il diluvio" era ed è il motto implicito del dominio monetario, versione aggiornata, ma non diversa, del privilegio real-nobiliare, ma guai a regolamentare per legge, non ancora per contratto, la vita nelle fabbriche, in nome della piena liberta del lavoro, intesa come libertà di trarne frutti solo per sé.
Saranno le legislazioni un po' più democratiche, con tutti i limiti e le mutilazioni delle circostanze, a modificare questa anarchia, attraverso un costante e faticoso cammino che ha trovato la sua temporanea conclusione nell'attuale precipizio.
Quando il volante è impugnato da uno solo, assecondato e protetto dal navigatore politico ed istituzionale, non può che andare, ciclicamente, così.
Anzi, delle crisi, il capitalismo si nutre, trasformandosi.
Il contenimento dei tempi della giornata lavorativa, l'apprezzamento della forza-lavoro ( brutto termine che sposa la terminologia spersonalizzante della teoria economica ), costituirono fin dall'origine, il nucleo di quella che sarebbe poi diventata la lotta di classe.
Termine e senso non riconosciuti da tutti i colletti bianchi generati dal sistema, da quella, per definizione mediocre piccola borghesia, eternamente aspirante, negli abiti, nei contegni, ad un'illusorio mutamento di status.
Nella tripartizione dei rapporti strumentali, è invece destinata ad autoriprodursi, casomai con qualche invasione, spesso non commendevole. da parvenus nel perimetro recintato che si vorrebbe travalicare, come un migrante alle frontiere.
La classe media è la tutrice del privilegio, per la pavidità di essere risucchiata nel mondo indigente.
Per questo fa studiare i figli, sacrificandosi molto allo scopo.
Perché rimangano almeno come sono loro, come sono adesso.
Lo stesso fanno i capitalisti, casomai senza far studiare i loro svogliati rampolli, mentre i poveri, in versione operaia, vagheggiano, pur senza troppa fede, una palingenesi sociale, che però potrebbe esercitarsi solo al ribasso, cioè al loro livello.
Adesso che i riferimenti sono liquidi, cioè non ci sono, il lavoro è ritornato ad essere una opportunità, o meglio una chiamata " a gettone ", consolabile solo dalla ricopertura di qualche ninnolo low cost, o nell'abito da travet, mentre la libertà consiste nel tatuaggio, nel piercing, insomma nell'atteggiamento ostentatorio non supportato.

giovedì 7 settembre 2017

Un viaggio culturale nel globalismo delle religioni. Seconda parte.

Scene abbacinanti di un deserto oceanico dal quale attingere la riva artificiale di un percorso a ritroso.
Entrata a Gerusalemme, non su di un asino, bensì in corriera e senza velleità di sovvertimento delle tradizioni fondative dell'essere ebrei, dopo essere passati per una città edificata solo all'inizio del ritorno alla terra di Sion, per espandersi verso tutti i luoghi storicamente atavici, senza alcuna propensione a condividerli.
Agli autoctoni emarginati veniva offerta la finzione della democrazia che, per loro era una trasfigurazione del demonio, mentre nella città di Tel Aviv, grosso modo grande e popolata come Bologna, si sitemavano ebrei provenienti da ogni parte del mondo, per farne un concentrato di divertimento, evasione, assoluta irrispettosità dei canoni religiosi e morali della tradizione.
E' impossibile trovarvi un'etnia prevalente, anzi la diaspora si raggruma in quantità molto contenute per esplodere in un caleidoscopio di night, spiagge frequentatissime, circoli per omosessual, bar nei quali gli alcoolici delle zone di provenienza dei migranti all'incontrario scorrono a fiumi. Ristoranti Kosher e ristoranti con cucina internazionale, ma specializzati per avventori e per coloro che non rispettano l'appartenenza gastronomica.
Città senza fede e senza tradizione, nella quale il tifo sportivo, l'essere sempre in baracca sono il marchio distintivo di una Babilonia artificiale, costruita per riservare alla costituenda Israele una capitale, in attesa di riportarla fra il Mar Morto - grande lago slato - e il Lago di tiberiade - di acqua dolce -.
Gerusalemme, città estesa e popolata per il doppio, su di un territorio molto limitato, dopo la quasi totale restituzione del territorio conquistato nella fulminante guerra di reazione dei Sei giorni, come se la geostrategia dovesse essere conforme al fortificato fazzoletto di terra sempre agognata da una parte dell'ebraismo mondiale.
Eppure, al Muro del pianto ancora ci si lamenta dell'odio e del pregiudizio verso gli Ebrei e delle future persecuzioni, per sfuggire o contenere le quali, il piccolo Stato fu costruito da Ben Gurion a colpi di tritolo, quando era necessario. 
L'essere particolari, l'essere diversi è ancora causa di incomprensione e pregiudizio in un mondo che si vanta, a puri fini politici e senza cultura, di essere pluralista, multiculturale, ecc. senza mettere in conto che il rispetto ipocrita e inconsapevole di tutto e del contrario di tutto non è condiviso dal popolo, pur bove, mentre gli esegeti di ciò che non sanno sproloquiano, giustamente sospettati dai Giudei di potersi trasformare di nuovo, improvvisamente, in zelanti e incolti aguzzini.
Gli arabi scontano la loro arretratezza economica, ma non sono stati responsabili del genocidio europeo, anzi neppure, a livello popolare, ne furono informati.
Eppure, quando cominciò la migrazione verso la terra degli avi, il Gran Muftì e le altre gerarchie religiose e politiche, da esse pesantemente influenzate, diedero ospitalità a taluni strateghi nazisti e lo fecero per trovare un antidoto agli ebrei sopravvenienti, a quella che nella Mia battaglia, Hitler definì un'infezione.    
Aver deciso di costituirsi in nazione territoriale ha subito comportato verso gli ebrei un'automatico rigetto, da loro rimpallato con una forza militare ed un'organizzazione che i cento milioni di arabi coalizzati contro sei milioni di neo indigeni, neppure sospettavano.
Da allora la situazione è in equilibrio instabile.
Dopo la guerra persa i maomettani sono diventati l'opposizione reazionaria ad uno Stato democratico non riconosciuto anche a causa di questa sua caratteristica occidentalizzante. 
Le vestigia storiche antichissime, precedenti di centinaia di anni la proposizione del profeta, figlio di Dio, impossibile da prendere in considerazione da una tradizione ben precedente e che aveva costituito ed ancor oggi, laicizzata, costituisce la Koiné di quel popolo, di cui nessuno potrà più versare il sangue senza subirne l'arcaica reazione, restano immote, non soggette all'iconoclastia olocaustica dei tanti pensieri unici che caratterizzano l'ignoranza militante, sulla quale speculano lobby e potentati, antichi eppur ancora in essere e recenti e oppositivi .  
A dire il vero è ora chi prima dominava a doversi gestire da una riserva di contenimento, secondo l'ambivalenza competitiva dei pretesti civilizzatori
In quelle terre aride - a parte Tel Aviv, asfissiante per umidità -  i monumenti e le costruzioni circonfuse di miti messianici e prospettici di un evento che non si realizzerà mai ( la venuta dell'unico Messia contemplato, quello che non esiste ), parlano agli astanti gentili di civiltà antichissime, diverse da quelle dell'occidente a cui si ispireranno dopo molti secoli, da cui saranno tradite, dalle quali non si sono comunque emancipate, perché necessarie ad una nazione nomade ed anche oggi che in parte è residenziale, senza radicamenti, ma solo revocabile residenzialità, nel mondo stabile.
Che gli israeliani siano la guarda giurata degli Stati Uniti in zona, poco attiene alla disamina storica che, ancor oggi, consente di identificare fra le vie entro le mura, i discendenti delle diverse e autonome culture di quel concentrato etnicamente monoteistico, inauguratore, non delle guerre, che ci sono sempre state, ma delle guerre in nome di Dio, frutto proibito di un ceppo unico, originario e immutato di un'evoluzione attinente, spiritualmente, a quella della nostra specie.
Della nostra specie di riferimento a ponente, dato che in altre regioni, al diverso aspetto dell'homo sapiens e degli altri animali indigeni, non corrisponde la stessa fede aprioristica e insensata, bensì altre poco praticate influenze filosofiche.
Le religioni sono lo strumento, l'ideologia delle lobby devozionali: quella cristiana, fortemente politicizzata, sia nella sua forma cattolica, sia in quella protestante, ha trovato supporto, dopo le inevitabili persecuzioni, nel diritto romano, di quell'Impero che, pur avendo combattuto la guerra giudaica, di quello strano e bizzarro popolo non condivideva niente, pur lascindoli sfogarsi autoctonomicamente, come faceva con ogni popolo soggetto. 
Non prevedeva gli effetti della specificità arricciata di un popolo sopravvissuto al Faraone...e poi, e poi, non si aspettava di precipitare nella crisi, eterno, o meglio ciclico, destino degli immutabili. 
Per questo quella monumentalità riarsa, pur splendida, appare museale, stantia, morta nella superficiale sensibilità di noi moderni, ignari di tutto e, anche per questo, estranei ad una radice di civiltà di cui non riusciamo più a intravedere la trasformata ( anche perché importata ) vitalità.
Eppure non esistono civiltà morte, così come non esistono lingue morte, se continuano, le une e le altre, a costituire la base od una delle basi del linguaggio aggiornato e della credenza modificata e rivoltata, ma non negata, se non nella convinzione di chi è privo di capacità esegetiche.
In positivo e in negativo, inestricabilmente connessi, continuano ad insinuarsi nelle pieghe e nelle fessure di convincimenti che non le riconoscono, in principi e pregiudizi che accompagnano silenti le vite che viviamo, quelle vissute e quelle che verranno, in una recita ininterrotta, nella scenografia modaiola, ma non rivoluzionaria di contenuti non originali, cioè, a loro volta, senza genitori, sui quali continuerà a cobasarsi la rappresentazione ripetitiva della vicenda umana e le sue insulse e presuntuose interpretazioni. 
L'unica dicotomia apprezzabile riguarda il marcatore religioso e quello agnostico, liberale e massonico, che ha ridotto l'influenza dell'irrazionalità religiosa nell'ambito delle strutture statuali, soprattutto oggi che le nazioni si raggruppano in confederazioni di fatto, non alla pari, almeno in europa.
La lotta fra Dio e il sua angelo decaduto proseguirà ineluttabile, fino alla consumazione dei giorni.
La sensibilità popolare ne sarà la sofferente e inadeguata protagonista, senza speranza di remissione, che negherebbe la contraddittoria vitalità del conflitto: gli ebrei ne saranno ancora l'icona espiatoria, ma da questo stato non possono uscire senza negare se stessi.
In questo consiste la loro nevrosi, che anche l'agnostico Freud aveva avvertito, pur lasciandola nel limbo dell'indeterminatezza.  

Stagionalità, concimi, ciclicità ripetitiva.

La mafia uccide solo d'estate, così Pif titolava un suo film.
D'estate le faide si consumano all'aria aperta e rovente, in zone dissestate in tutti i sensi, per associazionisti in una fase embrionale di un business progressivo.
Niente di diverso da quanto avviene nella realtà tutelata dalle istituzioni.
E' un'anarchia apparente, una competizione concorrenziale che elimina fisicamente gli avversari.
I primordi della società affluente.
Gli spiriti animali della bottega si sono esplicati quest'anno in provincia di Foggia: quindici morti nella guerra fra due clan, invasivi ed invasi nei loro orticelli, dai clan non omologhi. 
La mafia pugliese è sempre più all'opera, quella calabrese, che si dice ricchissima, spara internazionalmente ed emigra con i suoi capitali laddove può investirli e radicarsi, mantenendo intatto il suo costume ignorante e violento. 
La mafia siciliana, dopo aver trattato con lo Stato, aver sostituito per l'intervento pensionistico dello Stato medesimo i suoi capi anziani, sembra essere sparita dai radar. 
Forse ha superato la fase combattentistica, i carusi sono tornati indisturbati a rubare i motorini nelle strade e nelle piazze e sono di nuovo pronti all'arruolamento ed alla disciplina se le strategie dell'alta mafia, dovessero richiederlo. 
Forse la mafia siciliana è composta prevalentemente da professionisti, burocrati mediocri, politici in carica, membri importanti delle istituzioni in grado, per questo, di trattare con i vertici nazionali, in quella Roma nella quale si compensano gli interessi mafiosi in senso lato.
Anche l'imprenditoria commerciale mafiosa vi ha piantato le sue radici: Roma è diventata il centro di smistamento continentale della droga. 
I punti di irradiazione sono comuni locali di ritrovo.
La mafia, nei paesini e nei quartieri delle metropoli, infatti, si mimetizza.
Nei piccoli centri, dove tutti conoscono e rispettano la mafiosità di certi ambienti e di determinate famiglie, queste ultime abitano appartamenti in anonimi condomini ed hanno un tenore di vita pubblico, identico a quello dei diseredati concittadini.
Estrazione, ignoranza, frequentazioni, sono, a questo livello, plebee.
La società mafiosa riproduce esattamente la stratificazione sociale ufficiale e ormai la interseca non solo nella mentalità, ma anche negli interessi, che lo Stato, anch'esso in buona parte mafioso, sta abbandonando, dai quali va ritirandosi, lasciandone la gestione ai cuglini, discendenti delle coppole e delle lupare. 
Il terrorismo, ma solo nei centri turistici e nelle grandi città, non va in vacanza. All'improvviso, una macchina può accelerare e travolgerti, a caso o miratamente. E'quanto è successo a Parigi, all'uscita da una caserma di un drappello di soldati.
Ma il terrorismo, diversamente dalla mafia in evoluzione, ma ancora embrionale, colpisce sempre, estemporaneamente, con il bello ed il cattivo tempo. 
Non ha bisogno si strade asciutte, di obiettivi in canottiera e calzoni corti, impigriti dal caldo, non conta sull'omertà degli astanti, casomai sulla loro indifferenza e sulla confusione che generano. 
Dopo Parigi, tocca a Barcellona. 
Qui si vogliono colpire i turisti. 
Non si reagisce ai bombardamenti, ma allo sbarramento di Ceuta a tutto ciò che preme confuso, con i migranti.
La società liquida, per definizione priva di riferimenti, viene ibridata da nomadi che, invece, un'identità ce l'hanno: è un'identità religiosa e culturale coesa che, con le generazioni farà sentire il suo peso. Quasi tutta l'emigrazione è di prossimità mussulmana e araba o pakistana. Costoro hanno bisogno di molti discendenti per il sostentamento,appena possibile, delle loro famiglie, per le cure ai genitori anziani, agli anziani della loro etnia, in genere. 
Le famiglie italiane, della stessa fascia sociale, che non godono di nessun significativo contributo alla loro prolificità, che in altri paesi è ricca, ma subordinata ad un impiego utile per i giovani: l'istruzione o l'avviamento specializzato al lavoro, non assicurano neanche la loro riproduzione numerica. 
I loro frustrati ideali sono altri, possibilmente consumistici, la loro depressione sfocia nella violenza estiva, spesso omicida, che le contese domestiche provocano. 
Contese di substarto economico o di evasioni tardive. 
Oppure nella droga, che gli immigrati criminali vendono in competizione-collaborazione con la criminalità indigena.
La fine dell'equilibrio dei blocchi non ha portato solo la recente spropositata migrazione dei magrebini ( in prevalenza ); all'epoca dell'implosione dell'ex Unione sovietica comportò l'emigrazione di stuoli di prostitute, della cui ondata restano quasi soltanto le più povere nazionalmente: le rumene.
La popolazione autoctona, immiserita, fa le vacanze che può, il mercato al ribasso si estende a vista d'occhio, a causa della pianificazione familiare al ribasso.

Proprio per questo sono aumentati i costi, ma i ricavi si sono immiseriti per la contrazione della domanda. 
L'economia mangia i suoi clienti, fino a che, almeno in questa forma, sparirà. 
Eppure, per ripicca e insofferenza, non si rinucia a divorziare, per aggravare la situazione al coniuge che non è in grado di soddisfare, o di non soddisfare più, le vanità.
La gara, non più sostenibile verso l'esterno si sfoga entro i propri confini e si fa tragica, assurdamente tragica.
E, per assurdo, dimostra il teorema, i termini incongruenti del quale sono le vittime partecipi di un cupio dissolvi per mancanza di principi. 
Gli stessi inflitti, altrimenti, ma solo per rito sociale, nei periodi floridi, ai pochi liberi pensatori senza risorse, che gravitano nei loro paraggi. 

lunedì 4 settembre 2017

Un viaggio culturale nel globalismo delle religioni.

Non avrei mai pensato che le religioni, il loro substrato o marcatore, parallelamente ed ora distintamente dal marcatore culturale, avessero una così ampia trasversalità nel mondo liquido e globalizzato.
Trasversalità identitaria, ma anche ibrida: conversioni, non imposte, dal protestantesimo all'Islam o dall'evangelismo al giudaismo.
Sapevo che esistono dei nuclei ebraici storici in Africa, ma non conoscevo che ce ne fossero circa duemila e cinquecento sul suolo di Israele. Risiedono da cittadini, ma sono culturalmente poco considerati e poco incentivati a trasferirvisi.
Se esista alla base di questo atteggiamento un riflesso razzistico, vietato dalla legge israeliana, non so dire, ma è storicamente accertato che gli ebrei, pur mantenendo un marcatore religioso ed identitario, che non viene rimosso neanche dai laici, sono molto dissimili fra di loro e mantengono radici linguistiche radicalmente diverse - ebraico a parte - fra le varie comunità.
E' quindi da presumere che la cautela nella piena accettazione religiosa e culturale degli ebrei africani derivi da un sincretismo non approfondito, figlio di costumi e culture non filtrate nei secoli dalla cultura giudaica in europa.
Oggi, la più forte comunità non sionista è radicata a New York.
Nelle terre sante e da lì e prima che da lì, si riverberano una serie di non teologiche trasmigrazioni etniche ed ambientali fra una religione e l'altra, fra diverse componenti delle chiese o sette protestanti, fra le religioni cristiane e l'islamismo e all'interno delle varie correnti dell'islamismo.
Negli Stati democratici che non temono l'interculturalità depotenziata, pubblicitaria e appunto liquida, questi fenomeni sono oggetto di studio accademico, ma sono ignorati dalle autorità politiche che non curano questo tipo di controllo sociale.
In termini esclusivi questo avviene negli Stati Uniti, mentre in europa, la limitatezza dei confini e la storia nazionalistica, rendono più occhiuta e monitorata la situazione, senza però contrastarla.
Il mondo intero è influenzato dalla perdita della sovranità nazionale sotto la spinta dei mercati, qualche nazione vi si è opposta con successo. Nel perimetro occidentale, fra scarti e ipocrisie, il modello nord americano è ancora una volta dominante e anche le economie e le società primitive si adeguano, prendono spunto dal modello nomade, anche se, molto spesso, non hanno la possibilità di muoversi dai propri perimetri territoriali.
Quindi anche le religioni navigano sul materiale liquido del commercio e le sue sedimentazioni logistiche sembrano essere la salvaguardia di identità, ma anche di lobby di interessi, autonome o mediatrici con quelle degli Stati e dei gruppi di interesse sparsi per il mondo.
L'adesione spontanea, individualistica o di gruppo - come la scelta di un bar di tendenza - interseca, non sconosciuta le zone più disomogenee del mondo, economicamente parlando, ma sempre meno superficialmente separate per via dell'influenza di internet.
Il piccolo territorio di Israele conserva, nella città storica, Gerusalemme, diversi crogioli etnici, culturali e religiosi che vivono in silenziosa autonomia gli uni verso gli altri, incrociandosi, senza considerarsi, spesso in abiti tradizionali, più o meno eleganti, lungo le strade antiche, pedibus calcantibus.
Gli unici ad essere stati estromessi dalle loro secolari terre sono i palestinesi, respinti nel sangue anche dai paesi arabi circonvicini, quando si trovarono, sotto il bastone e il ferro degli israeliani, nella condizione in cui si trovano ora i migranti nel mediterraneo.
Allora, la Giordania completò l'opera dei sionisti, massacrandoli alle sue frontiere.
La società israeliana è democratica. I fondamentalsiti religiosi, che sono pochi, naturalmente no.
Eppure vive, per psicologico retaggio, barricata, assediata, chiusa e, almeno ritualmente dolente, verso il rifiuto di una socialità naturale, senza peraltro mitigare o rinunciare alla loro particolare specificità.
Per questo, in queste more e su questo territorio, che solo mitologicamente ( marcatore culturale e religioso insieme ) è la terra di Sion, la terra promessa del loro nomadismo.
Concretamente era la terra dei palestinesi, una delle comunità arabe più scolarizzata, che ne sono stati estromessi e ghettizzati, tanto che la loro qualità culturale va sciupandosi o deve lottare contro i condizionamenti materiali, spesso ai limiti della sopravvivenza o, almeno, della sussistenza, come nella striscia di Gaza.
La sassoiola conseguente al divieto, per i giovani e gli uomini di mezza età, di pregare e praticare la spianata delle moschee, che sovrasta il muro del pianto, non si è trasformata in intifada.
E' stata, per ora, solo una replica velleitaria alla prepotenza israeliana, che si esercita su un territorio, loro solo per attribuzione post bellica delle potenze europee. Su quella scelta risarcitoria e discriminatoria, prese sostanza, ad opera delle lobby sioniste, l'edificazione artificiale dello Stato d'Israele.
Ebbene, in questa plaga, grande come la Lombardia, il senso multietnico e  multireligioso si è assiso e conferisce la sensazione di un interesse libresco, pergamenaceo, interessante, formativo, oppressivo e avulso, nelle sue pratiche visibili, quotidiane, dal dinamismo, dalla cinesi sociale.
Gli interessi delle razze e delle etnie, delle culture e delle economie, con tutti i loro substrati di stratificazioni sociali, che si fronteggiano e si cimentano di nuovo con l'uso, talora praticato, talora minacciato, della forza militare, ne sono estranei, all'esterno. Israele si sente perennemente minacciato, in discussione e questo stato d'animo è chiaramente avvertibile entro i suoi angusti confini, il suo ghetto nazionale, produttore di un altro ghetto, di un altro campo di concentramento indigeno.
Quando nacque lo Stato di Israele vi fu uno sforzo di omogeneizzazione, dovuto alla variabilissima provenienza dei migranti verso la loro terra promessa e, non potendo assimilare le diverse culture di cui si componeva la loro identità, si procedette ad un'omogeneizzazione religiosa che favorì l'ortodossia.
E' quanto avviene oggi nelle comunità islamiche in europa.
L'ortodossia israelita ridusse così il pluralismo culturale ebraico.
L'immigrazione in marcia verso Israele, ha distrutto la poliedricità degli ebraismi.
L'ebreo di Spagna, già ridotto ai minimi termini dalla santa inquisizione e l'ebreo arabo, a suo tempo sottomesso.
Eppure Isarele, almeno per gli ebrei e anche per chi la abita, non presenta una società omogenea.
La diversità, la pluralità è ascrivibile alla laicità dello Stato, per cui l'elemento culturale e quello religioso sono sconnessi.   
Si diceva che gli ebrei-arabi sono scomparsi, mentre i sefarditi, mentre vivono tranquillamente in Turchia e prima nell'impero ottomano ( a Istanbul fanno i grossisti, appena fuori dalla porta d'accesso al gran bazar ), in Israele si tutelano attraverso il recupero di autoctone forme di religiosità, rinvigorendo una dimensione culturale e sociale specifica.
Le fratture nella società israeliana sono ben visibili fra il religioso e il non religioso, fra i laici e i religiosi, ridotti ad una piccola parte dogmatica e fondamentalista ( hanno anche un piccolo partito che qualche volta è stato anche al governo con le destre, anche se in posizione politicamente ridimensionata ), fra i sionisti e i non sionisti, pur residenti nello Stato degli ebrei, fra ebrei della diaspora e cittadini israeliani.
Si può essere cittadini israeliani e non ebrei, da qualche anno è stato introdotto il reato di antisemitismo, dopo che taluni russi-ebrei immigrati non erano riusciti a contenere i loro figli teppisti, che sull'abbrivio di quanto facevano in Russia, razzista e antisemita, si misero a picchiare gli altri ebrei sul suolo di israele, non avendo per nulla il senso di apparteneza ed essendosi portati dietro il costume delle periferie russe, nelle quali la caccia all'ebreo e ad altre espressioni di minoranza, anche all'interno dei gruppi stessi, costringeva queste originalità a subire quella sorte per il divertimento autogiustificativo di codesti precoci oppressori. Nell'ignoranza persecutoria si contraddiceva un'identità che, evidentemente, non si possedeva.
Anni fa fu prodotto un bel film, su queste periferie dello spirito, protagonista del quale era un ebreo nazista. Non ne ricordo in questo momento il titolo.
D'altra parte la dicotomia, l'ambivalenza fra essere perseguitati e persecutori è una caratteristica acclarata storicamente e psicologicamente, di ogni ristretta, soprattutto mentalmente, comunità umana e Israele ne è un esempio territoriale.
L'erraticità, coniugata a un forte senso identitario, pur nella diversità degli apporti culturali, in particolare linguistici, sinergizza la cinesi fra i marcatori culturali e quelli religiosi del popolo eletto, fecondatori e fecondati dal transumare internazionale.
Eppure l'ebraismo antico, dal quale sono discese le altre due religioni monoteistiche, rappresenta la koiné di una nazione translitterale che ne conserva i caratteri pur nello sposalizio con tutte le dinamiche, soprattutto economiche, del mondo libero.
Gli ebrei della dispora hanno invece apportato un grande contributo culturale e scientifico in tutti i campi dell'arte e della scienza, disvelando le dogmaticità con lo strumento dell'agnosticismo.
Per cui, girando per la Terra promessa e santa dei discendenti di quella narrazione, si ha un sentore di museale, di stantio, di cristallizzato come i dogmi di quella trinità.
Nel senso di sé, del ghetto interiore, pur nella piena assimilazione appartata delle dinamiche della ricchezza salvifica, che la solidarietà soccorritrice e lobbystica comporta, sta l'irriducibilità ebraica alle lusinghe partecipative del mondo, quello medesimo che, in europa, li ha strumentalizzati e reclusi, esclusi e chiamati a soccorso finanziario, per cercare infine di distruggerli come etnia culturale e religiosa.
I figli che vogliono cancellare la memoria dei padri, nel nostro caso un neopaganesimo nibelungico.
Il Muro del pianto, iniziato nel 19 a.c., è ancor oggi frequentato, prevalentemente da ebrei religiosi e tradizionalisti, è l'icona del sentimento mesto di chi è respinto perchè, dopo generazioni di esclusione, non accetta di farsi integrare e di perdere un'identità tanto sofferta ed una koiné nomade.
Sion non è solo un mito, ma è troppo lontano nel tempo per essere agitabile e per chiudervisi, scacciandone gli altri, perché quasi cancellati in europa.
Gerusalemme fu capitale giudaica far il decimo e il sesto secolo avanti Cristo e si trova fra Ramallah, Gerico e Betlemme.
Il Giordano che alimenta il lago di Tiberiade, la fortezza di Mesada, rimandano ad un periodo confuso, fra storia e lavorio teologico-religioso, nel quale l'identità era già segnata da marcatori inconciliabili, pur nell'organicità rimossa della dottrina, con le sue gerarchie temporali, ma particolaristiche nei fini.
L'eresia di Gesù, sovvertitrice di quest'equilibrio-instabile, fu cancellata dalla volontà del Sinedrio e dalle real-politik dei Romani.
Verrà il papato e, con esso, le crociate. Nella chiesa del Santo sepolcro, costruita sul luogo della crociffissione  e della resurrezione, riposa, dal 1060, Goffredo Di Buglione, un feudatario, crociato belga in missione nella terra santa cristiana. Un'altra particolarità revanscista.
I musulmani, allontanati dalla Spianata delle moschee, che domina il Muro del pianto, in memoria della supremazia islamica, sono a loro volta irriducibili all'integrazione nel democratico Stato di Israele. Più che l'identità, che sarebbe religiosamente e culturalmente rispettata, rivogliono la loro terra e vogliono espellerne di nuovo gli ebrei.
Questi ultimi replicano, "ab origine", con il secondo tempio di Re Salomone, ricostruito sulle rovine del primo, distrutto da Nabucodonosor nel 586 a.c.
Sulle stesse macerie, questa volta sì, è fiorito il mito.
Non ci crede nessuno, neanche i rabbini, ma la dottrina dice che il terzo Tempio sarà edificato dal Messia, quando arriverà..per il popolo eletto, ma sofferente.
Nel frattempo il popolo ebraico continuerà nella sua appartata partecipazione agli eventi. Questa autoghettizzazione gli costerà ancora delle persecuzioni.
La Città vecchia è l'icona dell'antica Sion, la Terra promessa alla quale sono ritornati, senza trovarvi pace, ma senza più lo spirito della rassegnazione e della sottomissione, che invece gli islamici reclamano fin dalla denominazione della loro variante religiosa veterotestamentaria.
Tel Aviv è il laico a astorico ribaltamento della vetustà monumentale ed ideologica.
Edificata solo un secolo fa, popolata da cittadini provenienti da luoghi ed etnie tutte diverse, è la vecchia capitale e la città della movida, dei divertimenti e delle manifestazioni più irrituali rispetto alla gravità metastorica.
Peccato per l'asfissiante umidità.
La città dell'Es.
A Gerusalemme, quel che è restato, ancora immutato, dei popoli che costituirono e costituiscono un crogiolo riservatamente preservato, lungo i muri e fra i viottoli, recita, interpreta un metropolismo apparentemente cristallizzato.
Un incrocio di diversità filosofica e teologica nel suo scenario immutato.
Fuori dalle mura della Città vecchia, patrimonio dell'umanità,  il grande lago salato e quello di acqua dolce sopravvivono al deserto, gli arabi vivono emarginati e accatastati, vagheggiando, per ora senza speranze, la loro rivincita.
La prima sede della trinitaria religione monoteistica, non ha conosciuto e non conosce pace e non si fida delle mediazioni diplomatiche, né politiche, né cattoliche.
L'internazionalizzazione della Città santa sarebbe coordinata dalla Chiesa e le particolarità verrebbero diluite; gli edrei si dovrebbero ritirare nuovamente nel ghetto che adesso riservano agli arabi islamici che vorrebebro uccidere il padre, tornato dalle latebre dell'antichità, per dominarli.
Pace e condivisione non sono di questo, di quel mondo.
Il monoteismo giustifica le guerre.
Non si uccide in nome di Dio, è una semplificazione e una bugia.
Dio, nelle terre in cui è stato creato, non esiste e, per questo, deve essere evocato con la guerra, della quale i sempliciotti si fanno strumento per consumare, nella violenza, un attimo, l'unico e l'ultimo, della loro fede contraddetta, negata.  
L'unica soluzione sarebbe di demandare definitivamente alla storia ed all'esegesi gli scoordinati elementi di un'unico Libro, venerato e non analizzato da conflittuali prospettive.
Ma questo non avverrà.
  
  

domenica 3 settembre 2017

Quando l'Italia sceglie, è perduta.

Il botta e risposta nella guerra dei furgoni e dei coltelli, nella quale gli aggressori vengono, subito dopo, uccisi da uomini in armi, ha trasformato l'azione di polizia in una guerra aperta e reciproca.
Il continente europeo è diventato simile al set di un film gangsteristico americano.
L'esecuzione dei terorristi è certamente un ordine impartito ai militi dalle autorità superiori, ma non ha nessun significato deterrente: è una replica dello stesso tenore.
La Spagna non schiera truppe oltre i confini, come ad esempio l'Italia, ma ha una frontiera in territorio marocchino, a Ceuta, sulla quale respinge, quando ci riesce, i migranti africani in fuga.
In quest'ambito, stante anche le accuse di esecuzioni sommarie, va ricercato il motivo dell'attacco ai turisti, quindi a tutti i potenziali avversari, coalizzati con i loro pregiudizi a potenze e Stati nemici, di cui sono cittadini, sulle ramblas ed adesso che il ministo Minniti scaccia i barconi e condiziona con le armi le ONG, è probabile che, oltre alle minacce e al boicottaggio del leader della Cirenaica, si aggiungano le ritorsioni delle truppe salafite-fondamentaliste, che vedono prosciugarsi o ridursi una fonte del loro reddito.
Improvvisamente, da neutra, per la nostra compiacenza verso gli estremisti, la nostra situazione si fa pericolosa e non senza motivo sono state apprestate barriere nelle aree pedonalizzate delle città, per impedire rally decimatori.
La neutralità, pro domo propria, si scontra adesso coll'insostenibilità della presenza degli esuli, rifiutati dagli altri partners della unione europea, che così si vendicano della nostra veicolazione dei terroristi verso di loro.
Anche così qualcosa - non tutto - si tiene nell'Unione europea.
Non è la prima volta che l'Isis annuncia la presa di Roma, ma finora non ci ha provato.
Riusciranno le diplomazie sotterranee a sventare ancora una volta questo pericolo?
L'impressione è che, messi in atto, con superficiale improvvisazione, dei comportamenti impegnativi, il gioco si sia alterato e che qualche raid, casomai di avvertimento e richiesta di ricomposizione, possa avvenire anche da noi, dandoci la possibilità di aggiungerci al coro tragico degli innocenti a passeggio, sacrificati non solo nella veste di condoglianti.   
L'Italia che sceglie, tardi, senza programmazione e senza curarsi delle annunciate conseguenze, sconta l'ambizione di qualche ultimo arrivato, la fuga irresponsabile di chi si è defilato all'ultimo momento dalle assunzioni di responsabilità, che un ruolo ministeriale rivendicato, anzi preteso, presuporrebbero.
Ma non ci se ne cura, in Italia.
Per questo le prossime gimcane fra i passanti saranno commentate con altri luoghi comuni, come tutte le altre stragi, le cui cause, origini e scopi non sono mai emersi e le soluzioni offerte non convincono.
D'altra parte che cosa ci si può aspettare da un paese che, a tempo debito, riallaccia i rapporti con l'Egitto che ci ha preso sistematicamente in giro per la vicenda Regeni e che continuerà a farlo con la nostra collaborazione?
Che continui a fingere, senza prendere di petto i problemi.
Ma in Libia non c'più Gheddafi e il potere contraddittorio è diviso fra etnie e tribù e, mentre si tratta con tutti, è inevitabile scontentarne qualcuno e mettere i bastoni fra le ruote dei trafficanti finanziari di cui le persone sono soltanto la merce e che si sostengono reciprocamente, strumentalmente, perché questo continui ad avvenire, in un gioco di specchi rifrangenti ed occultanti le ragioni dgli assalti alle nostre vacanze..  

Il ballo in maschera della violenza.

Da che mondo è mondo, i poveri si portano in prossimità dei ricchi per riceverne condivisione degli scarti.
Qualcuno delinque, si appropria di una minima parte dall'altrui posseduto, ma turba un ordine gerarchico, un'educazione al mantenimeto del privilegio, di una cultura secolare, ancorché poco conosciuta, conforme.
Anche gli altri animali, quando hanno fame, non si fanno remore ad aggredire ed a mangiarsi gli animali miti, erbivori.
Sembra l'esatto contrario di quanto avviene fra gli umani, ma non è così: la sottocultura sedimentata alla base di sistemi uniformi nella sostanza e - oggi molto meno che pria - diversi nell'aspetto, ha creato un confine, una frattura, un respingimento, verso chi non sta al suo posto - anche se non può - nel gregge.
Su ogni faglia protetta dall'invasione dei  poveri incongrui rispetto a quelli indigeni, frutto del modello che non conosce amore, i caduti sono numerosi, una strage biblica ininterrotta, numeri senza storia e senza memoria, vite di troppo, che cercano solo la loro sopravvivenza e non sono di nessuna utilità, anzi reclamano di cibarsi e, poi chissà, suggestionati dalle luci della pubblicità di un mercato non gratuito, di un falso paese dei balocchi.
Questi poveri non sono organizzati, troppe ideologie gli hanno impedito, oltre ad una sana e coltivata ignoranza, di riconoscersi ed agire sulla base di una coesione.
Manca una classe illuminata che possa guidarli ( l'istruzione non è distinguibile, nelle società primitive, dal censo e altrove è sterilizzata nell'inutilità ).
Il torto e la ragione si semplificano in quelle dei più forti, mentre quelle in fieri declinano, per non essere sovvertite, in una corsa ad una diversa e più elementarmente materiale dittatura.
Provarci, soprattutto in buona fede, costa caro.
In cattiva fede, molto meno...spesso.
Con ingenuità ed ignoranza, sulle emozioni di una vastissima ma sguarnitissima platea delle conoscenze, porta a subire dure mortificazioni e angherie.

L'eterogenesi dei fini.

Sarebbe molto importante che la ormai lunga sequela di proposte di estensione dell'obbligo scolastico trovasse applicazione.
Ma in termini prevalentemente formativi e non, come l'improvvisato ministro dell'Istruzione, va, per ultima, blaterando.
Questa reiterata proposta, messa fino ad ora in un cassetto, non serve a fornire strumenti critici e nemmeno culturali ( da cui discende la capacità di analisi ), bensi a istituzionalizzare un superficiale addestramento di base da assoggettare a quello strumentale delle aziende.
E' chiaro che i dirigenti e i figli di famiglia, in forza alle medesime aziende, si guarderanno bene dal condividere codeste scemenze, ma simuleranno un unum sentire con le sprovvedute maestranze, rese ancora più suggestionabili dalla mancanza, ora coltivata, di una istruzione di base che non sia meramente tecnica.
In questo si applica il ministro-sindacalista, laureata ai corsi di formazione sindacale, tesi di equivalenza della quale era tanto persuasa, da attribuirsi un titolo accademico, senza specificare in che cosa.
Anzi no - mi pare - dicasi una nuova sottocategoria sociologica, di cui nessuno prima aveva sentito parlare.
La sindacalista aveva in mente e in parte nel subconscio, il pascolo sfacciato delle maestranze in termini di contenimento e sfogo impotente verso le loro aziende e, conseguentemente, vede oggi l'opportunità di essere artefice alla memoria di un'involuzione culturale senza precedenti dal dopo guerra ai giorni nostri.
E' chiaro che copia, come faceva nel sindacato, si adegua e ed esegue - casomai in quota rosa - e, come i suoi colleghi, si adopera per creare masse precarie di lavoratori convinti di avere un ruolo e la loro da dire su di una situazione di sostanziale relegazione ed esclusione.
Nuove frontiere della politica e del sindacato.
Ci penserà la vita e l'empiricità delle esperienze a rivelare il gioco subdolo della propaganda e a rigettare il tempo sprecato nell'elastico scuola/lavoro, ben più onestamente praticato nei centri di avviamento, senza finzioni.
Come per molti laureati veri, anche i formati discepoli di un regime, conosceranno il disinganno dell'istruzione prorogata per scopi minuscoli e meschini e, se saranno aderenti alla realtà, come lo furono i loro non formati padri ( 150 ore a parte ).
La mancanza di spirito critico culturale potrà essere surrogata dalla triste constatazione del loro stato.
Sì, perché questa, in fieri, è una società di nuovo - più di prima - basata sul privilegio e sulla sua trasmissione ereditaria, con un apposito indottrinamento delle masse defedate. 

sabato 2 settembre 2017

Estate di calma piatta in Israele, dopo che era sembrato - ma solo sembrato - che l'intifada potesse ricominciare, dopo l'ennesima costrizione religiosa e culturale al culto antagonista dei musulmani.
La reazione scomposta agli scomposti bombardamenti sulla Siria e l'Iraq - quasi quarantacinquemila morti in due anni - si è esercitata a metà agosto, sulle ramblas catalane di Barcellona.
Le ho percorse anch'io.
Non c'è diversità fra i maciullati siriani ed iracheni e quelli europei e le modalità con cui si conducono gli attentati ( che altro sarebbero i bombardamenti dall'alto, senza rischio? ), così come non c'è difformità fra le intenzioni non dichiarate dei bombardatori e quelle di chi organizza il sacrificio kamikaze di chi agisce e di chi occasionalmente soccombe.
Bambini, affetti, prospettive e speranze, sacrificate negli uni e negli altri casi.
La differenza casomai consiste nella sicura morte dei terroristi canonici, rispetto all'impunità, anzi alla cariera degli assassini, degli angeli sterminatori, tecnicamente formati ed insensibili a quello che fanno.
L'informazione è puramente propagandistica: le espressioni retoriche si sprecano, il buon sentimento superficiale e occultatore si spende a cascata, nella cronaca non si citano mai, sinteticamente e con chiarezza, i termini di quanto avviene, si confermano le vulgate, le veline ufficiali e si omette di render conto dell'aridità dei fatti, senza trascurare, dubitevolmente, delle interpretazioni, ma solo sulla base dei fatti empiri, oggettivi.
La Catalogna ha cantato il suo inno nazionale e rivendicato, oltre alla sua natura turistica di "città aperta", la sua precaria indipendenza demandata al referendum di Ottobre.
Sarebbe terrorizzata dalla sua insufficienza economica, ma vedrebbe ridere, dietro le quinte, gli speculatori della e sulla società comune, democratica.
Il mondo liquido, vulcanico ha paradossalmente rimesso in gioco - casomai tramite internet - non le masse, ma le moltitudini e i poteri tradizionali, usurpatori di una valorizzazione assente del loro grottesco esibirsi in un proscenio senza scenografia, di utillizare i sempre servili strumenti della propaganda giornalistica per tenere insieme le trame sfilacciate di una tela inconsistente e riaffermare prospetticamente, per i loro eredi, quindi, il controllo sociale che, altrimenti si affrancherebbe dal suo giogo e tornerebbe al libero gioco.
Non sia mai!
Ciascuno ha le sue tradizioni da perpetuare, tradizioni privilegiate; agli altri toccherà (ri)vivere un'utopia basata solo su un apparente buon senso, di generazione in generazione e di riempire ciclicamente le culle e i loculi cimiteriali.
Qualcuno avrà mausolei, altri, molti altri, la nuda terra o un forno crematorio.
Quelli incorniciati in un mausoleo, testimonieranno, monumentalmente, il demoniaco sottostante delle contrabbandate utopie e dei principi stessi, prostituiti proprio da loro per farsene riconosciuto emblema, marcatore subculturale del loro tramandando potere.
Quello di aver potuto vivere in barba all'umanità, retorica e vuota espressione del nulla antropologico.    

Gli scarti e i manganellatori del potere.

D'estate si sgomberano i luoghi che i Centri sociali, ultima espressione della sinistra di base, hanno occupato da anni.
Lo si fa a suon di manganellate, in un caldo torrido, per liberare dei locali e degli spazi aperti, che sia pur demaniali o privati, non sono stati destinati a niente: né ad uso pubblico, né affittati, venduti, ma soprattutto, neppure curati.
Una mera proprietà, divenuta una nuda proprietà.
Gli occupanti dei centri sociali non sono andati in vacanza o ci sono andati parzialmente; i poliziotti caricano come dei bisonti sotto il sole.
Lo spettacolo. non visto dai residenti, stante i quartieri quasi vuoti, farà loro trovare un rudere non più popolato al loro ritorno.
Ogni giorno a Ceuta, posto di confine spagnolo, in territorio marocchino, si intercettamo in prima battuta i migranti: molti muoiono, molti - si dice, da parte loro - vengono uccisi dalle guardie di frontiera spagnole, in una macchia poco distante.
Un migliaio circa, tutti insieme, hanno, non scavalcato, ma forzato il cancello che li separava dal primo territorio opulento della loro vita.
I pochi gendarmi presenti, data l'ora notturna, si sono stretti alle paratie laterali, timorosi del flusso in corsa dei clandestini, solo quando il fiume si è ridotto ad un rigagnolo, si sono vendicati con violentissime manganellate e calci a quei pochi che gli passavano vicini, fino ad infortunarsi di rimbalzo.
Adesso, per quei disperati, senza meta, ma soltanto in fuga, si apre un nuovo nomadismo, durante il quale saranno particolarmente vulnerabili dalla sbirraglia e anche dai criminali che vorranno trarne profitto.
Ma loro, sbirraglia e profittatori, avranno un tetto sotto il quale ripararsi.
Sulla spianata delle moschee pregano solo gli anziani: I giovani e l'età media ne sono stati espulsi.
Per ora la protesta contro l'ennesimo divieto, il divieto sitematico e perenne delle autorità usurpatrici israeliane, ha riguardato un fatto specifico e, dopo una fragile protesta, che ha causato tre morti fra i ragazzi palestinesi ( uno è stato ucciso da un colono ), è rientrata nei ranghi di una segregazione assurda e rancorosa.
Rancore reciproco, di oppressori e di oppressi.