venerdì 15 settembre 2017

Basta poco per essere occupati.

All'ombra dei dogmi e degli strumenti adattati per certificarli, ogni affermazione apodittica si investe di credibilità comiziesca e passa, come un'allucinazione, sul capo piegato di chi dovrebbe invece confermarla.
Eppure, nonostante l'evidenza, dei fedeli se ne trovano, non, ovviamente, fra coloro che vi leggono la loro irrisione e confermata relegazione nel mondo del precariato e del bisogno.
In questi termini. il P.I.L. e l'occupazione sono cresciuti.
La retorica dei milioni di baionette si è trasformata nel milione di posti di lavoro: un mantra già della destra ed oggi, pari, pari - della sinistra compatibile.   
Statisticamente si è tornati sulle stesse percentuali di occupazione del 2008, anno di conflagrazione della crisi, ma la qualità di questo recupero numerico, al netto della rovina di tanta gente che non entra nel computo, come se non fossero trascorsi nove anni in absentia, è completamente diversa.
Tutte le assunzioni odierne sono precarie.
I ventidue milioni di occupati, su sessanta milioni di cittadini, sono la costante storica immutata dell'occupabilità italiana recente e da lì non ci si schioda.
E' anche e soprattutto una stima della sostenibilità sociale, delle famiglie, dei ruoli e degli stati e delle sempre uguali ( al netto delle ricorrenti suggestioni ) potenzialità speranzose.
Rispetto al 2008 ci sono almeno un milione di lavoratori stranieri, extracomunitari, che allora non c'erano od erano in numero molto minore.
Questi fanno statistica, quelli in arrivo sono esuberi a priori delle guerre subito prodotte dalla fine degli equilibri.
Per di più: la leva pubblica, anziché essere superata, si è trasformata in incentivi alle imprese superstiti o trasformate, camaleontizzate, attraverso riassetti finanziari e di scopo, che si sono concretizzati in venti miliardi di euro, stornati dalle tasche pubbliche in quelle private, nonostante che nessuna impresa assuma lavorotori che non le servono, per ricevere un  bonus, che non è altro, quindi, per loro, che un ulteriore plusvalore.
Un ulteriore carburante nella macchina dei profitti aziendali.
L'abitudine agli incentivi al privilegio si è rafforzata e non è detto che sia un vantaggio prospettico.
Si stanno invece cancellando e dequalificando tutti i posti di lavoro dipendente a tempo e salario pieno.
Sullo sfondo, lo sfaldamento dei servizi sociali, sanità e istruzione su tutti.
Il mondo cambia, cambiano i lavori.
Questo slogan è pigramente offensivo, dato che quando tutto cambia, perché nulla cambi - cioè sempre - i nuovi lavori sono soltanto i vecchi lavori riorganizzati, nominalmente ridefiniti, concretamente sottopagati, in cifra assoluta o in cifra relativa, in funzione delle ore lavorate e non pagate.
Quindi, i dati generici sull'occupazione, da poco sfornati, non costituiscono affatto il superamento della crisi sociale, uscita dai programmi, bensì, per apparente paradosso, ne attestano un aggravamento.
Aumenta sempre più un numero non rilevato: quello di coloro che lavorano in condizioni modificate, senza cambiare la loro di condizione che si conferma povera e precaria.
Così lavorando, aumentano gli occupati a chiamata e a rotazione e coloro che sono dichiaratamente poveri.
Se invece di rilevare solo dati disaggregati, si considerassero gli occupati in rapporto alle ore effettivamente lavorate ed al salario percepito, i ventidue milioni diventerebbero molti di meno.
Altrimenti, si sa: alla voce tempo parziale, con un'ora si è ufficialmente occupati.

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