venerdì 8 settembre 2017

11 Settembre 1867.

L'undici Settembre di centocinquant'anni fa, veniva dato alle stampe Il Capitale di Karl Marx.
L'industria aveva compiuto, a sua volta, un secolo e le sue conseguenze sociologiche si erano ormai estrinsecate e sedimentate nei luoghi dove aveva attecchito come una delle tante forme antropologiche di dominio e di soggezione.
Si andava costituendo, allora, la classe operaia, che avrebbe conosciuto per poco più di un altro secolo, emancipazione, sogni e delusioni.
La classe operaia fu partorita, nel concetto, proprio da Karl Marx.
Fino ad allora, tutta l'economia ufficiale aveva trattato il guadagno ozioso del capitalista, come statico profitto o rendita.
Aveva cioè apprezzato il fenomento solo nell'ottica di chi deteneva i mezzi di produzione attraverso il possesso dei capitali, del denaro.
Prodotto da chi?
Dagli operai.
Il plusvalore è l'esito strumentale del corollario monetario, ottenibile solo attraverso il sacrificio di altrimenti inutili formiche operaie.
Il plusvalore diventa la forma specifica mediante la quale si manifesta lo sfruttamento.
Non l'unico sfruttamento, ma quello proprio del capitalismo.
Come ottenerlo altrimenti che ottenendo che i lavoratori lavorino, per una parte, un'appendice della loro giornata ed oggi con i guinzagli tecnologici sempre appresso, gratuitamente per il capitalista?
Quest'ultimo cerca con violenza di generare plusvalore mediante il pluslavoro: non basta più che l'operaio produca in generale, deve produrre plusvalore, al netto di quanto, lui e tutti i suoi compagni, guadagni.
Il meno possibile.
L'operaio, il lavoratore in genere, deve servire, da estraneo, all'autovalorizzazione del capitale.
Anche pochi minuti, moltiplicati per la massa, di gratuita prestazione, spostano ricchezza in maniera esponenziale e costante, come i centesimi nella formazione dei prezzi, nelle tasche dei padroni, con un termine mutuato dal feudalesimo terriero, ma tutt'altro che dispiacente per coloro ai quali veniva attribuito.
Il faticoso affrancamento dell'intelletto, ciò che è pubblico e quindi estraneo al profitto di questo o di quel "pincopalla", il tempo libero o festivo, sono, per coloro che ne sentono rallentato il loro guadagno, dei fronzoli.
Loro che di fronzoli vivono per vendere un'immagine.
" Dopo di me. il diluvio" era ed è il motto implicito del dominio monetario, versione aggiornata, ma non diversa, del privilegio real-nobiliare, ma guai a regolamentare per legge, non ancora per contratto, la vita nelle fabbriche, in nome della piena liberta del lavoro, intesa come libertà di trarne frutti solo per sé.
Saranno le legislazioni un po' più democratiche, con tutti i limiti e le mutilazioni delle circostanze, a modificare questa anarchia, attraverso un costante e faticoso cammino che ha trovato la sua temporanea conclusione nell'attuale precipizio.
Quando il volante è impugnato da uno solo, assecondato e protetto dal navigatore politico ed istituzionale, non può che andare, ciclicamente, così.
Anzi, delle crisi, il capitalismo si nutre, trasformandosi.
Il contenimento dei tempi della giornata lavorativa, l'apprezzamento della forza-lavoro ( brutto termine che sposa la terminologia spersonalizzante della teoria economica ), costituirono fin dall'origine, il nucleo di quella che sarebbe poi diventata la lotta di classe.
Termine e senso non riconosciuti da tutti i colletti bianchi generati dal sistema, da quella, per definizione mediocre piccola borghesia, eternamente aspirante, negli abiti, nei contegni, ad un'illusorio mutamento di status.
Nella tripartizione dei rapporti strumentali, è invece destinata ad autoriprodursi, casomai con qualche invasione, spesso non commendevole. da parvenus nel perimetro recintato che si vorrebbe travalicare, come un migrante alle frontiere.
La classe media è la tutrice del privilegio, per la pavidità di essere risucchiata nel mondo indigente.
Per questo fa studiare i figli, sacrificandosi molto allo scopo.
Perché rimangano almeno come sono loro, come sono adesso.
Lo stesso fanno i capitalisti, casomai senza far studiare i loro svogliati rampolli, mentre i poveri, in versione operaia, vagheggiano, pur senza troppa fede, una palingenesi sociale, che però potrebbe esercitarsi solo al ribasso, cioè al loro livello.
Adesso che i riferimenti sono liquidi, cioè non ci sono, il lavoro è ritornato ad essere una opportunità, o meglio una chiamata " a gettone ", consolabile solo dalla ricopertura di qualche ninnolo low cost, o nell'abito da travet, mentre la libertà consiste nel tatuaggio, nel piercing, insomma nell'atteggiamento ostentatorio non supportato.

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