giovedì 7 settembre 2017

Un viaggio culturale nel globalismo delle religioni. Seconda parte.

Scene abbacinanti di un deserto oceanico dal quale attingere la riva artificiale di un percorso a ritroso.
Entrata a Gerusalemme, non su di un asino, bensì in corriera e senza velleità di sovvertimento delle tradizioni fondative dell'essere ebrei, dopo essere passati per una città edificata solo all'inizio del ritorno alla terra di Sion, per espandersi verso tutti i luoghi storicamente atavici, senza alcuna propensione a condividerli.
Agli autoctoni emarginati veniva offerta la finzione della democrazia che, per loro era una trasfigurazione del demonio, mentre nella città di Tel Aviv, grosso modo grande e popolata come Bologna, si sitemavano ebrei provenienti da ogni parte del mondo, per farne un concentrato di divertimento, evasione, assoluta irrispettosità dei canoni religiosi e morali della tradizione.
E' impossibile trovarvi un'etnia prevalente, anzi la diaspora si raggruma in quantità molto contenute per esplodere in un caleidoscopio di night, spiagge frequentatissime, circoli per omosessual, bar nei quali gli alcoolici delle zone di provenienza dei migranti all'incontrario scorrono a fiumi. Ristoranti Kosher e ristoranti con cucina internazionale, ma specializzati per avventori e per coloro che non rispettano l'appartenenza gastronomica.
Città senza fede e senza tradizione, nella quale il tifo sportivo, l'essere sempre in baracca sono il marchio distintivo di una Babilonia artificiale, costruita per riservare alla costituenda Israele una capitale, in attesa di riportarla fra il Mar Morto - grande lago slato - e il Lago di tiberiade - di acqua dolce -.
Gerusalemme, città estesa e popolata per il doppio, su di un territorio molto limitato, dopo la quasi totale restituzione del territorio conquistato nella fulminante guerra di reazione dei Sei giorni, come se la geostrategia dovesse essere conforme al fortificato fazzoletto di terra sempre agognata da una parte dell'ebraismo mondiale.
Eppure, al Muro del pianto ancora ci si lamenta dell'odio e del pregiudizio verso gli Ebrei e delle future persecuzioni, per sfuggire o contenere le quali, il piccolo Stato fu costruito da Ben Gurion a colpi di tritolo, quando era necessario. 
L'essere particolari, l'essere diversi è ancora causa di incomprensione e pregiudizio in un mondo che si vanta, a puri fini politici e senza cultura, di essere pluralista, multiculturale, ecc. senza mettere in conto che il rispetto ipocrita e inconsapevole di tutto e del contrario di tutto non è condiviso dal popolo, pur bove, mentre gli esegeti di ciò che non sanno sproloquiano, giustamente sospettati dai Giudei di potersi trasformare di nuovo, improvvisamente, in zelanti e incolti aguzzini.
Gli arabi scontano la loro arretratezza economica, ma non sono stati responsabili del genocidio europeo, anzi neppure, a livello popolare, ne furono informati.
Eppure, quando cominciò la migrazione verso la terra degli avi, il Gran Muftì e le altre gerarchie religiose e politiche, da esse pesantemente influenzate, diedero ospitalità a taluni strateghi nazisti e lo fecero per trovare un antidoto agli ebrei sopravvenienti, a quella che nella Mia battaglia, Hitler definì un'infezione.    
Aver deciso di costituirsi in nazione territoriale ha subito comportato verso gli ebrei un'automatico rigetto, da loro rimpallato con una forza militare ed un'organizzazione che i cento milioni di arabi coalizzati contro sei milioni di neo indigeni, neppure sospettavano.
Da allora la situazione è in equilibrio instabile.
Dopo la guerra persa i maomettani sono diventati l'opposizione reazionaria ad uno Stato democratico non riconosciuto anche a causa di questa sua caratteristica occidentalizzante. 
Le vestigia storiche antichissime, precedenti di centinaia di anni la proposizione del profeta, figlio di Dio, impossibile da prendere in considerazione da una tradizione ben precedente e che aveva costituito ed ancor oggi, laicizzata, costituisce la Koiné di quel popolo, di cui nessuno potrà più versare il sangue senza subirne l'arcaica reazione, restano immote, non soggette all'iconoclastia olocaustica dei tanti pensieri unici che caratterizzano l'ignoranza militante, sulla quale speculano lobby e potentati, antichi eppur ancora in essere e recenti e oppositivi .  
A dire il vero è ora chi prima dominava a doversi gestire da una riserva di contenimento, secondo l'ambivalenza competitiva dei pretesti civilizzatori
In quelle terre aride - a parte Tel Aviv, asfissiante per umidità -  i monumenti e le costruzioni circonfuse di miti messianici e prospettici di un evento che non si realizzerà mai ( la venuta dell'unico Messia contemplato, quello che non esiste ), parlano agli astanti gentili di civiltà antichissime, diverse da quelle dell'occidente a cui si ispireranno dopo molti secoli, da cui saranno tradite, dalle quali non si sono comunque emancipate, perché necessarie ad una nazione nomade ed anche oggi che in parte è residenziale, senza radicamenti, ma solo revocabile residenzialità, nel mondo stabile.
Che gli israeliani siano la guarda giurata degli Stati Uniti in zona, poco attiene alla disamina storica che, ancor oggi, consente di identificare fra le vie entro le mura, i discendenti delle diverse e autonome culture di quel concentrato etnicamente monoteistico, inauguratore, non delle guerre, che ci sono sempre state, ma delle guerre in nome di Dio, frutto proibito di un ceppo unico, originario e immutato di un'evoluzione attinente, spiritualmente, a quella della nostra specie.
Della nostra specie di riferimento a ponente, dato che in altre regioni, al diverso aspetto dell'homo sapiens e degli altri animali indigeni, non corrisponde la stessa fede aprioristica e insensata, bensì altre poco praticate influenze filosofiche.
Le religioni sono lo strumento, l'ideologia delle lobby devozionali: quella cristiana, fortemente politicizzata, sia nella sua forma cattolica, sia in quella protestante, ha trovato supporto, dopo le inevitabili persecuzioni, nel diritto romano, di quell'Impero che, pur avendo combattuto la guerra giudaica, di quello strano e bizzarro popolo non condivideva niente, pur lascindoli sfogarsi autoctonomicamente, come faceva con ogni popolo soggetto. 
Non prevedeva gli effetti della specificità arricciata di un popolo sopravvissuto al Faraone...e poi, e poi, non si aspettava di precipitare nella crisi, eterno, o meglio ciclico, destino degli immutabili. 
Per questo quella monumentalità riarsa, pur splendida, appare museale, stantia, morta nella superficiale sensibilità di noi moderni, ignari di tutto e, anche per questo, estranei ad una radice di civiltà di cui non riusciamo più a intravedere la trasformata ( anche perché importata ) vitalità.
Eppure non esistono civiltà morte, così come non esistono lingue morte, se continuano, le une e le altre, a costituire la base od una delle basi del linguaggio aggiornato e della credenza modificata e rivoltata, ma non negata, se non nella convinzione di chi è privo di capacità esegetiche.
In positivo e in negativo, inestricabilmente connessi, continuano ad insinuarsi nelle pieghe e nelle fessure di convincimenti che non le riconoscono, in principi e pregiudizi che accompagnano silenti le vite che viviamo, quelle vissute e quelle che verranno, in una recita ininterrotta, nella scenografia modaiola, ma non rivoluzionaria di contenuti non originali, cioè, a loro volta, senza genitori, sui quali continuerà a cobasarsi la rappresentazione ripetitiva della vicenda umana e le sue insulse e presuntuose interpretazioni. 
L'unica dicotomia apprezzabile riguarda il marcatore religioso e quello agnostico, liberale e massonico, che ha ridotto l'influenza dell'irrazionalità religiosa nell'ambito delle strutture statuali, soprattutto oggi che le nazioni si raggruppano in confederazioni di fatto, non alla pari, almeno in europa.
La lotta fra Dio e il sua angelo decaduto proseguirà ineluttabile, fino alla consumazione dei giorni.
La sensibilità popolare ne sarà la sofferente e inadeguata protagonista, senza speranza di remissione, che negherebbe la contraddittoria vitalità del conflitto: gli ebrei ne saranno ancora l'icona espiatoria, ma da questo stato non possono uscire senza negare se stessi.
In questo consiste la loro nevrosi, che anche l'agnostico Freud aveva avvertito, pur lasciandola nel limbo dell'indeterminatezza.  

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