martedì 2 gennaio 2018

Ab Urbe condita.

Alle origini della cosmogonia storica sta il Mito, l'emulsione caotica degli archetipi, tutti di origine orientale. Attraverso la filosofia e la lingua greca, globale in gurgite vasto eppur corcoscritto ma non impermeabile, nonostante le fortificazioni delle frontiere tanto sentite quanto inesistenti, sta il fluire cosmico al quale ogni sensazione può essere attribuita con la certezza di una fede.
Il razionalismo, il diritto sono altra cosa, l'ellenismo, la civiltà persiana e mesopotamica sono l'alterità culturale, dell'est verso l'occidente, di una porzione del mondo.
Quella porzione nella quale il sistema e la dottrina delle norme sorregge l'ordine interno e l'espansione dinamica, contenitiva, la consequenzialità ordinata dell'essere e del divenire, fino a che un moto rivoluzionario, necessariamente dogmatico, perché figlio di quella cultura, non ne scompagini la coesione o l'usura liquida dello scorrimento incessante, oppure finché la sintesi magmatica del pensiero esoterico, figlio dell'oriente, non la inquini, la fecondi e la fuorvii: "Graecia capta, ferum captorem coepit". 
Il criterio alieno continua a vivere nei riti imperscrutabili ai profani e coesiste con la razionalità degli interessi, coltivando la crisi e la rinascita, del tutto magica e profetica.
Le società segrete coltivano questa oscurità, alla luce della loro sapienza.
Il gioco delle parti con il diritto positivo continua la sua falsa opposizione.
L'operosità ne è il substrato con la sua illusorietà accessibile di valori.

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