venerdì 19 gennaio 2018

La politica degli stenterelli.

La destra, con ogni probabilità, vincerà le elezioni.
L'opera di sintesi di Forza Italia, coprirà e soddisferà gli appetiti della stessa coalizione che governò il nostro paese per vent'anni.
Si riparte infatti dalla stessa alleanza fra forzisti, verso cui stanno tornando i trasformisti che se ne erano andati e dei quali sarà accolto solo chi porterà il valore aggiunto di una vagonata di voti, i fascisti, non più del bruciato Gianfranco Fini, a cui il potere istituzionale diede alla testa, ubriacandolo di retorica di ruolo e inducendolo, sotto traccia, a fare finalmente i suoi interessi - come avvenne anche durante il fascismo al potere - appropriativi.
Che si sia trattato di uno sciocco è attestato dalla coreografica nascita di Alleanza nazionale, partenogenesi del M.S.I., dalla sparizione della fiamma tricolore e della conversione pro-semita e revisionista dentro il perimetro del mai superato istinto sopraffattorio del fascismo medesimo, che sarebbe stato diluito per decenni, durante il dopo guerra, nelle correnti di destra della Democrazia cristiana. 
Ci eravamo fermati alla prima anta della vecchia alleanza, quella con i fascisti e poi ci siamo dilungati in una digressione retrospettiva recente.
I fascisti, eterna versione, sono quelli di Giorgia Meloni. Chissà se diventerà presidentessa della Camera, come già toccò a Irene Pivetti? 
La Pivetti e Fini hanno fatto una brutta fine, mentre il mestierante della politica Pierferdinando Casini ha resistito agli scombussolamenti delle alleanze e alla perdita di collegi sicuri: quello di Bologna, all'epoca di Prodi e quello pugliese, non più agibile dopo la separazione da Azzurra Caltagirone.
Riuscirà a far annullare anche questo secondo matrimonio, per sposarsi con la domestica?
Ha tentato e credo che sia riuscito a farsi assegnare un collegio sicuro, occupando la poltrona della presidenza della commissione parlamentare sulle banche, di cui si intende solo per aver fatto due turni alla Cassa di Risparmio in Bologna, prima di smettere di lavorare e di riciclarsi continuamente.
Terzo apice del triangolo fra la trinità inscindibile della destra sarà la Lega, non più del solo nord, del rappresentante di felpe, Matteo Salvini. 
Gli immodificabili rappattumamenti hanno un senso chiarissimo che non ha bisogno di fuorvianti e disoneste auto giustificazioni e onanistiche interpretazioni.
Il ritorno, parziale, del proporzionale, nonostante la chiara sentenza nel senso del ripristino della percentualizzazione completa, ha riaperto le fenditure nelle quali potranno insinuarsi tutte le ali corte del parlamento, ali incapaci di reggere il peso di un governo che non sarà mai a loro demandato, se non in termini di acquisizione di voti mancanti, con meccanica attribuzione di posti, clientele e prebende speculative e di rendita.
In fondo, la piccole formazioni non mettono neppure in discussione quanto avverrà e si preparano ad una finta, esclusivamente verbale opposizione, comodamente assisi, per un'altra legislatura, sugli scanni pletorici della Camera. 
Si, perché la chiave di volta di un sistema marcio, non consiste nelle amputazioni della costituzione, ma nella riduzione dei deputati, assegnando a ciascuno un collegio più ampio e quindi non legato solamente alle clientele provinciali.
Del Partito democratico è inutile dire. E' una versione mariuola della ben più vigorosamente disonesta Democrazia cristiana; se volete di quella, ma sedicente, di sinistra, che ebbe fra i suoi rappresentanti Carlo Donat Cattin, Aldo Moro, la versione magna greca di Ciriaco De Mita e Francesco Cossiga. 
Persone che, tranne che per il primo, non ho mai stimati, ma comunque di ben altro spessore del povero Renzie e della sua corte dei miracoli.  

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