venerdì 26 gennaio 2018

Cinquant'anni dopo.

L'almanacco di filosofia Micromega ha mandato in edicola e in libreria uno studio monografico sul '68.
A riesumarlo in forma cerimoniale, sacramentale e tombale, sono stati retori di diverse disclipline.
Si tratta quindi di un lascito falsificato dal tempo, espresso in forma lapidaria e fredda, circonvoluto nei suoi attorcigliamenti, nostalgici, sentenziosi, saccenti.
Il '68 fu un sentimento di liberazione dai derivati del familismo, intesi in senso concettuale, un'accantonamento della patriarcalità e segnò una discriminante generazionale con il fascismo, a vent'anni dalla Costituzione e dalla proclamazione della Repubblica italiana.
A dare la stura al neo giacobinismo europeo fu, ancora una volta la, Francia, mentre i prodromi occidentali sono da ricercarsi nei campus universitari nord americani e, in particolare, in quello di Berkeley.
Fu una rivolta autentica, interiore e assolutamente borghese.
Furono i rampolli delle famiglie medie e, in qualche sparuto caso, operaie, che avevano avuto accesso agli studi, a rovesciare i luoghi comuni della tradizione prebellica.
C'era allora la possibilità di studiare e di farlo orizzontalmente.
Le stesse forze della conservazione, o meglio parti significative delle medesime, nell'ambito della Democrazia Cristiana, favorirono il cambiamento di paradigma: Donat Cattin, Sullo, Moro.
Il regresso, non definitivo, dei tempi grigi che stiamo vivendo ci parla dell'eterno ondeggiare fra il medio evo e il rinascimento. Anche le famiglie vi partecipano in termini fattivi o disastrosi, a seconda delle loro capacità di programmare la discendenza e di interpretare i segni del mutare del clima.
Il movimento studentesco interpretò inconsapevolmente il radicalismo liberale e aprì la parte centro settentrionale dell'Italia all'internazionalità.
Il '68 sarà stato casomai antesignano dell'internazionalizzazione dell'economia, o meglio della finanza con la sua evanescenza concreta che però è in grado di veicolare, come un nettare o come un virus,contributi di un mai compiuto amalgama.
Di quei moti, di quell'orda d'oro sono ancor vivi i derivati dispersi, mentre si sono ricompattati gli anticorpi della pur necessaria Vandea: non ci potrebbero essere gli uni senza gli altri.
La disamina storica riguarda le cose morte: il '68 non lo è ancora, si reincarnerà ancora in mille guise così come il suo contraltare.
Così si alimenta il mito dell'immortalità: attraverso l'eterno ritorno.
I custodi di quei principi amticipatori di una nuova prassi sono oggi, paradossalmente, i giudici o parte di essi e, sul piano ideologico culturale, la Chiesa cattolica, nella sua minoritaria espressione pontificale.
Due pilastri della reazione e della conservazione, reagiscono e conservano le spoglie di quel sommovimento affrancatorio di una borghesia illuminista che si sentiva schiacciata dal sanfedismo dei privilegi.
Privilegi che restarono e che sono stati in buona parte scalzati dalle convulsioni finanziarie degli ultimi decenni.
Su questa ruota dei sogni, il '68 ne ha rappresentato uno e ne ha suggerito un altro.
Rivoltare la prassi, infatti, insegna a rinforzarla, falsificandola. 

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