sabato 10 giugno 2017

Ognuno per sé, nell'avvenire delle illusioni.

L'Isis attacca, ogni giorno, dovunque.
Non trascura, anzi rende più concreta, la competizione coi vicini musulmani, di altra dottrina intrinseca.
Li vuole instabili per non esserne assorbita.
In questo contesto implicito è normale che ricchi Stati finanzino le imprese dei miliziani del califfo, per trarne vantaggiose carambole e riservandosi di scaricare ed aggredire i figli disconosciuti, quando e se il gioco non riuscirà, quando non serviranno più.
niente di diverso da quanto fanno tutte le diplomazie belliche, prima sotto traccia e poi, pretestuosamente, in maniera palese e diretta.
L'Islam miltante è tornato ad essere il contraltare di un globalismo che è solo occidentale, giudaico e cristiano. In questo non sbagliano e la ragnatela dell'amore ecumenico, rilancio paralizzante della spiritualità crociata, non li irretirà.
I martiri ed assasini delle strade delle megalopoli infedeli, hanno estinto la loro infelicità in un'allucinazione, nella quale non avevano fede, dato che si sono portati dietro quante più persone possibili, con i loro micidiali, ma ridotti, mezzi occasionali.
L'ideologia - si fa per dire - è dunque in catalessi solo nell'occidente in crisi che le ha partorite per poi disconoscerle; altrove è ben viva, nei Paesi islamici e nella diaspora, freme e si catalizza fino a precipitare nella simbologia entropica.
La lotta al male si ripete nelle avvertenze prudenziali di ogni giorno, nelle città in conflitto, nelle quali, ogni giorno, vengono impartite istruzioni e inibite facoltà, anche per portare i bambini a scuola, in una simulazione accademica dell'incombente pericolo di attacchi, che, nessuna sceneggiata securitaria impedisce.
La demenza indotta dalla paura, da un lato e dal fanatismo dall'altro, cementifica l'ostilità popolare nei musulmani emigrati anche da se stessi e nei buoni frequentanti della movida stanziale.
La guerra non è più di popolo, di coscrizione, in occidente, perché non ci sono più blocchi di nazioni, con chiari e delimitati confini, a fronteggiarsi in un equilibrio instabile, ma inamovibile, lo è rimasta presso le plebi, autoctone e trasmigrate come corpo estraneo presso i derivati della trasformazione e del comemrcio delle (loro) materie prime, dalle quali, per loro, in patria, non è dato lavoro.
Secoli e secoli di esperienze e di costumi paralleli e inconciliabili.
Come dimostrato e non solo per loro, l'irriducibilità è all'interno del logos, chi per interesse senza fede e chi per evasione, con conseguenze mortali, dalla propria realtà.

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