giovedì 8 febbraio 2018

Chi perde il treno?

La stampa di questa mattina enfatizza la cessione, avvenuta il giorno prima dell'inizio della procedura di quotazione in Borsa, di Italo NTV ad un Fondo nord americano.
La compagnia privata italiana aveva ormai debiti per cinquecento milioni di euro.
"L'Italia senza i treni" e via dicendo.
Si tratta semplicemente di una speculazione privata che remunererà gli azionisti, che abbandoneranno il progetto con lucro, vendendolo a una di quelle entità, mai state trasparenti e che hanno preso, da qualche tempo, a rilevare anche le banche e a favorirne la ristrutturazione.
Infatti, non si tratterà di perdere quello che non si possedeva: la compagnia ferroviaria era privata, esercizio collaterale di un cartello di imprenditori, che se ne escono, dopo una gestione non proprio brillante e molto breve, alla faccia del personale..quello che sarà più di ogni altro elemento dell'impresa, ristrutturato.
E' lo stesso iter inglorioso che è toccato ad Alitalia, che attualmente passa di mano in mano, di taglio in taglio, lungo tratte perigliose per tutti tranne che per chi ne determina le rotte.
La FIAT è stata solo la battistrada, fra le grandi aziende, prima c'era stato il decentramento produttivo, l'atipicità dei contratti la trasferibilità delle produzioni dove il lavoro costa meno, la standardizzazione dei prodotti medesimi, ovunque prodotti, il Libro bianco di Enzo Biagi, il fallimento o la nanificazione delle imprese medie e piccole, soprattutto per mancanza improvvisa di credito, la precarizzazione del lavoro fino al just in time e, da ultimo, al job's act.
Non si perde niente nel capitalismo globale ed in quello d'accatto che ci caratterizza, semplicemente ci si adegua secondo un ormai egemonica condotta partenopea nazionalizzata, arrangiandosi... per guadagnare.
E chi meglio di chi intinge la brioche nel cappuccino, frequantando(si) a rotazione (ne)gli stessi bar o le (in) nuove filiali dei medesimi, può apprezzarne l'aroma e il sapore?

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