mercoledì 26 luglio 2017

L'invariabilità dell'eterno.

Il piccolo Charlie, un gran bel bambino di undici mesi, ritratto con i suoi tubicini nelle narici, sereno e apparentemente assopito, morirà in un giorno ed in un luogo ignoto.
Certamente un hospice, quei luoghi, interni agli ospedali - di solito negli ammezzati - o in analoghe strutture esterne, dove i malati al termine della loro vita, vengono trasferiti dai reparti di degenza, dalle loro abitazioni e condotti alla morte a cui sono condannati, sotto l'effetto di psicofarmaci euforizzanti, che li rendono affettivi, entusiasti, sorridenti.
Un contrappasso incivile ed irridente, un'aggiornamento festoso socio-scientifico del costume antico, diverso nelle sue espressioni, per l'abbandono dei moribondi al loro destino.
Li si metteva nelle condizioni di morire in breve tempo, di stenti, conseguenti all'abbandono.
L'eutanasia moderna, riferita ai bambini, è l'equivalente della soppressione cruenta dei piccoli malformati e non in grado di sopravvivere in natura.
Gli animali - e noi siamo animali culturali - provvedono subito dopo la nascita.
Se ne incarica la madre.
Anche chi non riesce ad attaccarsi al seno viene lasciato morire.
Se la genitrice non è più - o non ha più - i suoi cuccioli, a volte provvede agli orfani.
Anche gli animali umani conoscono queste forme di edificante soccorso, che copre una loro insufficienza, che è per loro primariamente, mentre quando il prodotto eccede, è in esubero, lo riconducono nei margini della sostenibilità.


Charlie, biologicamente ancora vivo, sarà dolcemente soppresso, eliminato perchè irrecuperabile, o perché le cure sarebbero troppo costose e senza possibilità di guarigione, di recupero sulla malattia degenerativa che lo accompagna da prima della nascita.
Che cosa cambierebbe se Charlie morisse a casa, accanto ai suoi genitori, per una crisi da inadeguatezza delle strutture domestiche, anziché in un ambiente adeguato per un'eliminazione razionale?
In alcune considerazioni dell'antropologa Ida Magli, nel testo "Per una rivoluzione italiana" - che non ci sarà mai - ho letto che la sopravvivenza di esseri umani geneticamente tarati, dà luogo a successive generazioni di malati gravi, la cui trasmissione di infelicità, insieme ai costi sociali potrebbe essere evitata.
E', senza dubbio, vero, come è vero lo spettacolo dell'esclusione dei menomati.
I centri per loro sono dei ghetti. Fra l'altro non votano.
Quando se ne andranno, nessuno li rimpiangerà, come accade a tutti i fantasmi.
Fantasmi saremo tutti e il dolore per la nostra scomparsa durerà poco.
Chi avendo vissuto, sarà serbato nel cuore, sinceramente, anche da una sola persona, con la quale abbia trovato un'intersezione perfetta, non sarà vissuto invano
Charlie non sa, non saprà.
E' un'esemplificazione etologica della vita preculturale.
Il dolore è certo da parte dei genitori i cui geni portavano il contributo di qualche avo gravemente intaccato nei suoi fondamenti, per stigma naturale o portato della miseria materiale o morale, ma durante la lunga vita che ancora resta a loro, il piccolo Charlie resterà un ricordo anestetizzato e rimosso da almeno un'altra nascita, a meno che esami approfonditi della loro natura generazionale dovessero escludere una discendenza sana.
Questa morte annunciata storpia l'anima che l'oblio ricomporrà.
Di Charlie, come di tutti noi, non resterà che una fotografia che cristallizzerà, l'invariabile immortalità della morte, un sacello freddo.
L'alta Corte d'Inghilterra, neo caste sacerdotale, ha sentenziato: condanna a morte in un momento e in un luogo sconosciuti.
Nessuno potrà e dovrà serbarne la memoria.



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