lunedì 3 luglio 2017

Per stare bene è necessario che qualcun'altro stia male.

E' morto Fantozzi.
Aveva il diabete. Per decenni ha subito, senza combatterla, l'obesità, in un certo periodo non riusciva più a calzare le scarpe e vestiva un camicione, in versione estiva ed invernale.
Paolo Villaggio aveva trasposto sullo schermo la sua esperienza di impiegato all'Italsider di Genova, disegnando un personaggio assolutamente reale, del quale aveva anche accentuato la mortificazione, rendendola, per così dire, pubblica.
La sua raffigurazione di denunciante si valse e molto del sarcasmo verso la mediocrità per antonomasia, quella impiegatizia, pavida nei confronti dell'officina, rifugiata in una sicurezza da sopravvissuti, nella quale ogni velleità è declinata grottescamente.
Una classe di conformisti, perché priva della fisicità animale della classe operaia e di quella da predatori della parimenti, ma diversamente grottesca "classe proprietaria", con la coda di pavone dei suoi ruffianeschi e clientelari valletti di casa.
Fantozzi, in realtà, è un umiliato e offeso, perché privo di riflessività da specchietti, che lo mette alla berlina anche dei suoi parimenti sfigati colleghi.
Talvolta accenna a correggere, imbarazzato, le castronerie dei superiori ereditari, privandoli così della loro pretesa di prestigio, pagandone le conseguenze volgari perché privo di potere.
La Maga Circe degli impiegati sarà per lui la signorina Silvani, icona dell'aspirazione seduttiva di una donnetta, che irretisce onanisticamente un poveretto che non apprezza la fedele, ma querula e scipa moglie Pina e che si è potuto riprodurre nei tratti di una scimmia, più che in una divinità asitocratica, che vuol dire semplicemente per pochi.
Le sue immaginazioni impotenti sono nevroticamente sottomesse ad una interiorizzazione della merdaccia che lo hanno convinto di essere, subornandolo, in un contesto in realtà insulso, in cerca di un simbolo sacrificale di compensazione.
Paolo Villaggio è diventato, per questa via, ricco ed ha espresso una vanagloriosa rappresentazione di intelligenza, che ha approfittato, per accreditarsi, dell'umiliazione dei figli di nessuno.
L'hanno apprezzato ed arricchito soprattutto le famiglie dei coatti, nei cinema domenicali, che della denuncia implicita di psicologia sociale, non hanno capito nulla e si sono anzi compiaciuti della loro prestanza in jeans e pettorali, con le loro signore più cariche delle puttane, come l' iconografica mignotta trasfigurata letterariamente da Pasolini.
I medio borghesi lo hanno in gran parte evitato perché li rivelava ai loro figli e i vincenti, proprio perché privi di contenuti e di conoscenze, lo hanno snobbato, tranne che per ridere dietro alle loro vittime inferiori.
Non ho mai creduto alla poesia di Villaggio, di tanto inferiore artisticamente a quella di Charlie Chaplin che, prima di morire, asserì di avere perseguito solo i soldi, come in ogni prostituzione pubblicitariamente millantatoria.
La ricchezza si basa sempre sulla volgare spoliazione di chi culturalmente imita, subordinandosi per velleitaria imitazione fantasiosa, gli atteggiamenti di chi ha bisogno di loro per disprezzarli.
Come Paolo Villaggio-Fantozzi.
    

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