venerdì 21 luglio 2017

Vocazioni censorie ed autocratiche. I sultani e il loro popolo.

Gianluca Paolucci della Stampa e Marco Lillo del Fatto quotidiano, si sono visti sequestrare i computer, i telefoni cellulari, i tablet, gli android. Le loro case sono state perquisite e anche i depositi dei giochi dei figli del primo sono stati messi a soqquadro.
Gli strumenti informatici a disposizione delle loro compagne sono stati anch'essi requisiti.
L'uno aveva denunciato le manovre lobbystiche dell'UnipolSai, attraverso  politici, ministri e facilitatori, per forgiare a proprio vantaggio la riforma della R.C.Auto.
Alla denuncia della compagnia privata, ma saldamente d'area, ha immediatamente corrisposto una repressiva attività della Guardia di finanza, che di ben altro e con ben altri obiettivi, si dovrebbe occupare.
Un'intimidazione vera e propria.
Marco Lillo aveva rivelato il retrobosco delle influenze accentrate e amministrate del padre di Matteo Renzi ed anche una telefonata fra i due nella quale il minore accusava il padre di non dire e di non avergli detto la verità.
Per questo, la loro vita, privata e professionale, è stata sovvertita e la loro libertà personale e d'indagine giornalistica, gravemente limitata e menomata.
Si sono cercate, poliziescamente, le fonti, che sono la base riservata dell'archivio giornalistico.
Questo è un atteggiamento dittatoriale, tutore dell'abuso di infuenza.
Anche la democrazia turca, arrivata ad un certo punto di degenerazione, subdolamente condotta e indotta, aveva cominciato, per poi farne una vera pandemia, a perseguitare e poi incarcerare i giornalisti e le testate non allineate.
C'è in questo una mentalità sottostante, che solo le formalità giuridiche possono rimpallare.
La reazione del corpo redazionale dei due quotidiani rintuzza l'aggressione, nella speranza che l'Italia, in mano ad una pseudo-sinistra autoritaria, e affaristica, clientelare e illiberale verso chi ne scopre gli altarini, non regredisca al livello della Turchia, che, se non altro, ha un aspirante Sultano, un po' più cazzuto, anche se ladro e familista, di un Renzie, padre o figlio e di un Gentiloni.   
Ai due "denunciati" mediaticamente, il politico padre di provincia e la Compagnia assicurativa e bancaria, partenogenesi delle cooperative e già del Partito comunista, non è stato sequestrato nulla. Nessun condizionamento, tranne quello giornalistico, è stato rivolto alla denunziatrice, anzi se ne sono subito prese le parti, in maniera invasiva e sequestratoria, costringendo la stampa a risalire sulle barricate di una difesa della libertà, senza tutele, se e quando, svolge in autonomia e senza riguardi servili la sua funzione, il suo lavoro.
La ex sinistra - ma se fosse mai stata al governo anche la sinistra vera, non sarebbe cambiato nulla - si svela autoritaria e pronta a strumentalizzare la sovrastruttura poliziesca e giudiziaria, quando serve ai suoi fini, secondo realismo ed opportunismo.
La guerra alla disonestà, quantomeno morale, coperta ed ambientale, non deve prendere in considerazione l'azione eterodiretta del braccio secolare dell'interesse combinatorio fra favori e illeciti vantaggi.
Solo così potrà rappresentare e difendere la democrazia.

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