domenica 2 luglio 2017

La religiosità superstiziosa.

Duecentoventimila persone sono confluite a Modena; più di quante ne ospiti ordinariamente ed ordinatamente la città.
Per la verità, l'ordine fra gli invasori è stato mantenuto sia nell'afflusso, sia nella sosta in piedi nella spianata sottostante al palco, sia, infine, nel contro esodo, verso casa, con la maglietta gialla: io c'ero! Vasco, Modena 01/01/2017.
Sì, perché il pellegrinaggio è avvenuto in onore di una vecchia star del rock più sbracato e cialtrone - a me non è mai piaciuto - malandato, recuperato dopo anni di cure da una grave malattia.
Una celebrazione e forse un congedo, dopo quarant'anni di alcoolici e tossicologici sproloqui.
Mai si erano riunite tante persone, molte delle quali nient'affatto giovani, per condividere in ispirito e presenza, un senso indefinito d'identità.
Erano lavoratori occasionali: baristi, commesse, border line solo negli atteggiamenti esteriori, a rivendicare una personalità primitiva, altrimenti negata, dalle gerarchie immutabili della presunzione.
Come sempre: hai accompagnato gli eventi ( quali? ) della nostra vita, tutti i passaggi sono legati ad una tua profezia.
Tanti astanti non se li trovò di fronte, brandenti dei rametti d'ulivo, neanche Gesù quando entrò a Gerusalemme e, forse, paragonare le masse di quel tempo per quel profeta che, strumentalizzato, avrà poi milioni e milioni di ipocriti e superficaili supporters, con il richiamo al canto identitario di plaghe sconfinate di senza ruolo, che non sia il proprio, interiore, non ha senso.
Perché è la musica e, in questo caso, la cacofonia vocale a sostituire macroscopicamente il ritrovarsi di fedeli, altrimenti spenti e conformisti.
Le chiese ormai sono vuote, si riempiono solo in occasioni cerimoniali, anch'esse riprese spesso televisivamente, ma il suono indistinto della droga rumoreggiante, del baccanale demoniaco, suborna il catacombale ripetersi delle litanie ufficiali.
Oggi ufficiali.
L'abbraccio inconsulto si consuma nell'attesa e, dopo poche ore stancanti, dispersive e caotiche, vissute come un'allucinazione, si scioglie malinconico, in attesa di una nuova occasione di fugace incontro, in grado di riscattare una vita insignificante, in un lampo d'illusoria eternità.
Eppure, le istituzioni della finzione pubblica rosicano di questa loro manifesta inferiorità, attenuata, ma con sempre minor efficacia, dalla bulimia informativa che li impone ai rituali spettatori dei telegiornali.
Io, da anni, non li guardo più e non ho assistito neppure al concerto di Vasco Rossi, che ha riepilogato la sua disperazione e, celebrandola, vi ha trovato lenimento momentaneo.
Pur vecchio e sciupato non ha avvertito la fatica o, se l'ha sentita, è andato avanti fino allo sfinimento sostitutivo di un impegno, prima che risultasse caduco, fino all'estenuazione definitiva, che, anche per questa volta, non è arrivata.
Per questo, uno chansonnier di provincia, una sorta di Gilbert Bécaud ( altro genere, stessa insulsaggine ) è stato venduto in tutto il mondo ed osservato, ascoltato, senza capire il senso delle sue parole, per quel poco che ce ne era: la religiosità superstiziosa era soddisfatta.

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