lunedì 20 marzo 2017

Che ce vulite fa'?

L'associazione Malafemmina mi ha spedito una petizione riguardante una trasmissione televisiva che non ho mai visto.
Vi si lamenta  che i contenuti non fossero stati politicamente corretti. Si esercita di fatto una censura ecumenica ed ideologica, da parte di vecchie femministe e di meno vecchie, associate in un fumetto, come i 5 Stelle nel blog della Casaleggio & C. Questo fumetto non è mai stato altro che la versione assimilata della cultura del piagnisteo nord americano, da dove proviene e che è fatta di pretese che equiparino il destino delle donne belle e di quelle brutte, alla quale tutte codeste malafemmine appartengono. Tutte? Sì, perché non sarebbe concepibile, ma neppur possibile che fra di loro allignassero femmine belle; la discrepanza evidente ne determinerebbe l'emarginazione per invidia e, casomai, qualche attenzione che non si vorrebbe più consentire agli uomini, anche attraverso forzature normative. Così facendo, le racchie si riservano per le classi popolari, all'interno delle quali condurranno la loro polemica esclusivamente per insoddisfazione, con partners a loro volta spesso brutti o grossolani, e marcano il territorio delle bonazze nei pressi dei ricchi che, come si sa, solo per questa caratteristica sono sempre belli, talvolta geniali. Il femminismo è stato una delle espressioni più imbastardite della sinistra comunista in Italia, che con l'argomento non aveva niente a che spartire, se non nell'ottica di una mai praticata uniformità di apprezzamento. I maggiori leader comunisti italiani, Palmiro Togliatti e Luigi Longo furono puttanieri di vaglia, lasciarono le loro mogli del periodo clandestino, inanellarono un'altra relazione ufficiale, ma non furono mai fedeli. Altri capi comunisti, meno noti, avevano consili costumi. Il femminismo rappresenta un'anticipazione ed ora una prosecuzione del radicalismo idealistico statunitense, di nessuna rilevanza oppositiva nell'economico, nel politico e nel sociale, che in quelle lande si chiama harassment=molestia, intendendosi per tale - soprattutto ai suoi esordi, quarant'anni fa - qualsiasi sguardo, espressione meno che formale, atteggiamento in ogni sede e circostanza, tanto da rendere la frequentazione di quel genere di donne insopportabile. Ovviamente, questo tipo di tormento si esercitava soprattutto sul ceto medio basso, il meno affascinante e meno palluto in assoluto, maldestro imitatore del lessico e degli atteggiamenti del Jet set e degli angiporti, dove le due categorie antitetiche e ben delineate, consumavano senza tanti infantilismi pseudo-culturali, le loro succose copule. 
A distanza di due generazioni, l'associazione Malafemmina se la prende con una trasmissione nazional-popolare nella quale - si dice - sono state fatte affermazioni eretiche sulla asserita preferenza di fidanzate slave, da parte degli italiani perché: sono poco appiccicose e senza velleità di menare la danza e dare precetti alla relazione, perdonano il tradimento, acconsentono a che il partner abbia la preminenza nel disporre le cose, senza contraddirlo; partoriscono, ma dopo riacquistano rapidamente una fisicità marmorea, sono buone madri e non sono particolarmente gelose e sospettose, in casa non indossano trasandate tute o camicioni informi.    
Se così è, non vedo perché un uomo, un essere umano, dovrebbe condannarsi a star male o a star peggio, se gli si offrono opportunità decisamente migliori, che poi quasi mai conducono al matrimonio: si fermano al fidanzamento 
Se la maggior naturalità della donne slave non era quindi un portato delle valigie di calze di nylon che molti turisti si portavano dietro, prima di raggiungere quelle terre fredde solo climaticamente, perché non cogliere, possibilmente, quanto il mercato tanto osannato può offrire, come se non esistesse questa dimensione nei rapporti. Per Malafemmina non deve esistere ed è una pretesa nevrotica che nasce della negazione mentale della realtà. Alla larga quindi, non firmerò quella petizione, sinceramente non me ne frega niente. Fra le molte forme di demenza compensativa artatamente spacciate per culturali, in parte occultatrici di negate tendenze oggi manifestabili, alligna anche questa, eviratrice - perché le femmine, pur apprezzandolo molto, hanno una mai completamente superata invidia del pene, che antropologicamente è un simbolo oltrechè uno strumento di emancipazione senza bisogno di lavorii ed autoconvincimenti mentali e, infine, di potere, denegando il quale lo si depotenzia, cosa che una donna ben ormonata e di gradevole aspetto non può proporsi, almeno finché il rapporto è agli esordi, quando cioè è ispirato dall'innamoramento. Per cui è sospetta questa ricorrente levata di scudi ogni qual volta un media di massa contraddice una vulgata totalitaria, che, per altro, nessuno osserva. Quanto, infine, alla rara possibilità di rapportarsi ad una donna intelligente, forte e felicemente disposta, se si è in grado di ambirne per condividere i contenuti ed il dialogo, mettendo una zeppa alle pretese dei facoltosi conquistatori e delle superficiali e frivole donzelle dai grandi sorrisi e dalle stesse parole, è opportunità non compresa neppure nelle facoltà di queste malafemmine.         

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