domenica 26 marzo 2017

Quel che ancora non si vede e che ci cadrà in testa come un' imperscrutabile conseguenza del Fato e che invece è prodotto degli aggiustamenti d'interesse della politica sotto i colpi del disordine accettato, mentre quello di reazione viene represso.

La stampa, quella che i comunisti chiamavano correttamente, la propaganda e per la quale avevano un apposito ufficio politico, è sempre più ridimensionata dall'informazione on-line. I fogli residui, che vivono anche di abbonamenti digitali, inibiscono, dopo i titoli, la lettura dell'articolo, rimandandola ad una sottoscrizione. Tutta l'informazione si fa estemporaneamente pubblicitaria, in termini asseverativi rispetto alla definizione dei comunisti. Alla banalizzazione dell'informazione, succedanea alla fine del confronto ideologico, che vedeva molti filosofi, molti letterati e un'infinità di giuristi sui banchi parlamentari, si accompagna un'enfasi crescente per la cronaca nera, reale o amplificata, per lo sputtanamento orizzontale che va dal malaffare della politica a quello privato, con esenzione per quella ambientale e prossima al foglio diffusore. La società del meticciato è sempre più raccontata solo per un'utenza bianca, autoctona: gli immigrati e i devianti indigeni non leggono le gazzette cartacee o informatiche nazionali. Nazionali e, in quanto tali, provinciali, mentre la stampa internazionale ha sempre più un chiaro riferimento di nicchia e inanella informazioni economicamente oggettive e politicamente orientate al costume delle lobby ed ai loro interessi, senza neppure curarsi di volgarizzarli. Questa metodica è stata ed è ancora propria della diffusione di notizie - alcune e non altre - dell'informazione indigena e, da destra ( il Giornale e Libero ) a sinistra ( il Manifesto ), parlano di un mondo di borghesia delle professioni e dell'imprenditoria residua, in fase di ripiegamento e declino e di una sempre più mitologica classe lavoratrice, confondendola artatamente con il singhiozzo occupazionale. Anche per questo il confronto dei proclami e de suoi mutevoli editti non è più avvertito come facile spunto di contesa verbale, direttamente assimilata, per slogan, dalla carta stampata. Emerge quindi, dalle notizie, la vita ordinaria, ma non quella grigia e uniforme, solo potenzialmente indispettita dall'approssimarsi di alieni, sociologicamente e culturalmente, bensì proprio quella, inquinante, del colore borgataro, con il suo non originale degrado e la sua inassimilabilità alle costumanze garantite, oggi con il sentore di una intervenuta fragilità. L' involuzione del commento sopraggiunge allorquando la toponomastica delle città è già stata quasi completamente alterata e quando le ultime sacche di resistenza conservatrice cedono le armi, ricche e satolle, talvolta mantenendo la proprietà delle mura ed affittandole per farsene una rendita, tal'altra alienandole, dato che i figli non intrevedono più una garanzia di reddito sicuro nella compromessa gestione familiare del commercio. Anche le residue attività produttive, che hanno visto ridursi le dimensioni e, con esse, il personale impiegato, se ereditate - senza quindi ambasce per trovarsi una precaria a sfruttata occupazione - stentano, ridotte ad officine, a stare sul pezzo, fra momentanee euforie e cadute di fiducia.  La "piece" cambia con ritmi ormai in accelerazione, per consentire ai vecchi interpreti di uscire di scena e consentire ai nuovi guitti ( espressione non offensiva degli esordi teatrali ), comunque appartenenti ad una mal laureata classe di discendenti degli schiavi, di catapultarsi con la testolina zeppa di luoghi comuni, appresi anche nelle aule universitarie,  in una scomposta e spesso anche indegna contesa per l'arricchimento padronale, in cambio di quattro soldi per la vecchiaia, che neppure la previdenza pubblica amministrerà più e che passeranno in gestione alle banche, eterne profittarici del denaro e delle necessità paradigmatiche, sempre illusorie, delle masse, senza strumenti propri, che non siano l'asservimento, per trapassare nel campo degli sfruttatori anzichè rimanere in quello degli sfrutatti. 
La rifirma del Trattato di Roma, ha visto convergere ben ventisette Stati disomogenei, alcuni dei quali astiosi e ipercompetitivi a ciacole e rimostranze, rispetto ai sei Stati fondatori che sarebbero dovuti rimanere tali e soli, per dare un senso economico e politico e non di struttura delegata continentale degli Stati Uniti o, in alternativa, della Germania, all'originario progetto, nato sulle ceneri della seconda guerra mondiale, che però si è conclusa solo con la riunificazione tedesca. La Gran Bretagna non c'era già più, ammesso che ci sia mai stata, non avendo adottato l'euro ( sarebbe forse rimasta se fossero state le altre nazioni ad adottare la sterlina, in una specie di  Commonwealth appena al di sotto del canale della manica ).  La retorica rimodulata si fa diversamente insidiosa e prepara la strada ad eventi difficilmente individuabili in una fase nella quale si è voluto stringere, ancora una volta, la vite delle consuetudini storiche fra le isole e il continente, fin troppo esteso in un ambito slavo di poca affidabilità culturale e politica e già incline - è il caso della Polonia - a rivendicare, da destra, delle uniformità che non sono reali e che temono possano sancire una relegazione minoritaria permanente nell'assetto unionista.
Infatti, cosi è: il corno delle possibilità consiste nel rafforzamento del nocciolo duro intorno ai tedeschi o nello sfarinamento omologatorio  verso le nazioni meno attrezzate e povere, dato che l'unità alla pari, cioè l'eguaglianza, è possibile solo in basso, dove qualcuno, per comandare, ha interesse a tirare giù gli altri, mentre questi ultimi coltivano "necessariamente" l'interesse opposto, cioè quello di metterli sotto i piedi. Alla facitura del dipinto sgorbiabile contribuiranno in maniera determinante gli Stati Uniti, che, nella vulgata trumpiana sembrano inclinare verso l'ognuno per sé e lo sgravio delle entità povere e senza prospettive che non si vogliono più ospitare perché nulla facenti e potenzialmente, quando non già in atto, criminali.  Da decenni, l'ospitalità si è tradotta in un trasferimento di denaro ingente verso i paesi dell'est, la cui parte maggiore è stata assicurata dalle attività criminali esercitate sul nostro suolo europeo in sinergia con la malavita indigena. Ora, come già prima la guerra del Kosovo, per assicurare una fuga a pagamento alle popolazioni musulmane, la tratta migratorie delle persone e dei bambini sulle rotte subsahariane e mediterranee, si alimenta di riscatti, vendita di organi, prostituzione e speculazioni sull'accoglienza, come l'inchiesta su "mafia Capitale" ha messo in luce. Su questi scenari, reali e iconografici, con in mezzo un  popolo insignificante, si giocheranno i nostri destini prossimi.

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