lunedì 27 marzo 2017

Il Sindaco sabaudo e quello post papalino.

Il Sindaco di Torino, Appendino, si muove con sabauda riservatezza, fa quello che ritiene di dover fare, non cita beppe Grillo ad ogni piè sospinto e, ogni tanto, cala l'asso. Ieri, 26 marzo, ha presentato il conto del mancato trasferimento dei fondi destinati ai Comuni, al Governo: nel caso di Torino si tratta di sessantun milioni di euro. " Se ha trovato i soldi per le banche, deve trovarli anche per i Comuni". Anche il Sindaco di Bologna, Merola, aveva protestato due volte, in epoca Renzie, contro la sopraggiunta avarizia dell'esecutivo, non aveva ottenuto niente, se non apprezzamenti da borgataro circa la sua scarsa presa sull'elettorato locale...al confronto con...Un'altra non necessaria prova della necessaria asfaltazione del cafoncello di Rignano: la prima fu la tazzina di caffé sul banco del Governo alla sua prima uscita parlamentare, da presidente non eletto.
L'Appendino ha invece messo sul piatto il conto formulato aritmenticamente.
Il diverso stile e il diverso clima ambientale  di due esponenti dello stesso movimento, sono amblematici di una diversità di costume, che sarebbe clamorosa se non fosse già nota, anzi sedimentata: la guerra del regno di Sardegna contro la Chiesa e gli Stati borbonici del sud - di cui Cavour non conosceva neppure l'idioma - furono una pura forzatura degli ambiti d'interesse e d'influenza nell'europa dell'epoca ed hanno lasciati intatti costumi e assetti di potere, modelli economici e morali, completamente difformi, tenuti sovrastrutturalmente insieme ed in termini sempre meno identificativi, dal sentimento religioso cattolico comune, sia pur manifestato in fogge diverse.
La Raggi fa una fatica improba, non è neppure aliena dal piccolo cabotaggio degli interessi clientelari ( cominciò la sua attività d'avvocato nello Studio Previti, al quale non approdò certamente senza raccomandazioni ambientali ), è intestataria di polizze assicurative, non per incassarle, ma per fare un favore al suo galante collaboratore, sembra un cane in chiesa alle manifestazioni ufficiali alle quali deve partecipare, ricorre al suo mentore e si fa eterodirigere da Beppe Grillo, come già dai suoi assessori e consiglieri, arruolati  perché, in cambio della loro nomina, la coprissero , dà un'immagine tradizionale della corrusca e corrotta amministrazione capitolina.
Il Sindaco Appendino sembra decisamente un uomo - non me ne voglia - con la sua sacertà e fisicità, il caschetto alla maschietta e il viso robusto, un po' squadrato. E' seria e severa, non teme l'impopolarità e non provoca o propaganda, va allo scopo e chiede, motivatamente, soldi per la sua amministrazione. Ha tolto l'adesione di Torino alla contestatissima TAV e siede al suo scranno senza indulgere in parate pubblicitarie.
La Raggi, già condizionata dal ruolo istituzionale e religioso della sua città, o meglio, dalle influenze e dalle pressioni di potere che il multiforme generone romano è in grado di produrre, cerca, sperduta e bambinesca, rifugio nello sci, ma anche sulle piste viene inseguita dalle Iene che ne mettono in dubbio l'eleggibilità, in quanto la raccolta delle firme per sostenere la sua candidatura sarebbe stata fasulla, come quelle di Palermo e di Bologna. "Firmopoli", dunque per i paladini del servizio al popolo, del cui mandato sono beneficiari e, per questo, dipendenti. La furia spartitoria che ha bisogno di una poltrona amica, si riscatena al di fuori di ogni remora, ma, come già per il Sindaco Marino, rimosso dalle faide interne al P.D., può basarsi sia pur pretestuosamente e strumentalmente, su ipotesi conformi alla corruzione ambientale che nessuna successione al vertice può correggere e che non è neanche apprezzata dal costume di quella società.
Il Sindaco Appendino rappresenta la dinastia distante che volle impelagarsi nella conquista e congiunzione artificiale di una penisola percorsa da ogni sorta di variabile culturale, linguistica, economica e di tradizioni, per dare lustro ad una monarchia di rivalsa che avrebbe potuto essere facilmente acquisita dalla Francia. La Roma estorta ai Papi, con i quali si venne subito dopo a patti, ha mediato al ribasso le esigenze elettorali del centro-sud, abbandonando il settentrione a far da sé, nel ruolo, neppur egemonico, di fornitore di cespiti da rubare e da distribuire.
Da questo, l'istituzionalizzazione del razzismo - ricambiato - verso i terroni parassitari, ben rappresentato dalla Lega che, non dimentichiamolo, è un movimento popolare reazionario, che fa il paio con il fascistume incistato nel meridione, a partire da Roma. Ma il parassitismo però esiste e, senza una rimozione chirurgica, non si sanerà mai da sé. Per questo bisogna prendere atto che l'Italia, a soli centocinquant'anni dalla sua cucitura, è ancora un'espressione geografica. 

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