venerdì 28 aprile 2017

Le polarità del potere.

Fra Donald Trump e Kim Jong-un sussistono affinità paradossali, all'incontrario.
A parte l'età, i sue sono vissuti in due bozzoli formativi della mentalità asseverativa: il giovane coreano in quella familiare ed ambientale e, alla prova dei fatti, pare aver dimostrato capacità di prendere da subito in mano le redini del sistema.
L'americano è un palazzinaro ereditario, più altre attività imprenditoriali in una galassia di interessi che ha poi saputo gestire fino alla soglia dei settant'anni.
Kim rappresenta una spropositata forza territorialmente dimezzata, ma potrebbe avere ambizioni regionali, in un'area di interesse strategico nord americano, difende il suo modello domestico e non esclude, se ve ne fossero le condizioni, di aumentarlo.
I molti freni alla sua azione gli hanno sinora consigliato di limitarsi ad una grintosa politica fatta di esperimenti nucleari - con tecnologia fornita a suo tempo dalla Cina - e di dichiarazioni roboanti, rivolte sia all'interno, sia all'esterno.
Il tycoon a capo della potenza democratica, perché industriale ed oggi pericolosamente finanziaria - elemento di cui si è accorto - dirige la struttura politico-militare più imperialista del mondo contemporaneo. 
Un imperialismo economico e commerciale che si vale, alimentandolo sistematicamente di un apparato militare ineguagliato, ma che il maggior numero di utilizzatori del deterrente nucleare, mette a repentaglio in molte aree del mondo controllato dagli yankees
Alcuni alleati - sempre pro tempore - e diversi avversari, in atto e potenziali - si sono dotati della bomba atomica e possono competere, almeno per un po', sul campo. 
Considerate le alleanze geo-strategiche della Cina che, da un indebolimento dei suoi partners, può sentirsi direttamente minacciata, la possibilità che la situazione sfugga di mano sono molte.
Eppure Trump ritiene che lasciar spazio ai timori possa favorire gli avversari. Ha ragione ma il "cupio dissolvi" di queste ore non lascia presagire nulla di buono.
Queste crisi, quasi tutte per iniziativa degli Stati Uniti - tranne quella della Baia dei Porci, a Cuba, che altro non era che l'installazione di missili convenzionali ed atomici a poche miglia marine dalla Florida, come gli statunitensi, sulle coste nemiche, avevano fatto da sempre, provocando anche incidenti "ad hoc" - sono ricorrenti ed hanno finora portato a riequilibri su base nazionale, avendo privilegiato, i competitori, il ritiro nei propri confini, purtroppo dittatoriali, ma non inclini a farsi mulinare nel sistema mercantile occidentale, i cui vessilliferi sono gli americani del nord, ora sospettosi e spionistici anche verso l'Unione europea continentale, dato che l'Inghilterra, loro alleata principale in Europa, si è sfilata, anche per questa sottostante ragione. 
Trump e Kim sono diversi, il primo vuole arrivare al "redde rationem" e lo vuole fare subito dopo aver preso, per via elettorale, il potere - pur contrastato dalle leggi - nel suo impero da esportazione, adottando le strategie militari che sono state certamente elaborate ed affinate per decenni e che i suoi predecessori democratici - non certo Bush - avevano trascurato, limitandosi al proprio vasto dominio contagioso, per via finanziaria.
Sia pur diversamente da Kim, l'industriale Donald Trump vuole rinchiudersi in casa, ma, per farlo, deve cominciare a mettere ordine nelle varie aree d'interesse del puzzle mondiale, mentre Kim deve solo limitarsi ai auoi pochi chilometri quadrati ed al suo potere che adesso rischia di essere sovvertito.
Kim fa riferimento al suo personalissimo potere attraverso le forze armate, Trump al potere dinamico, ma anche flessibile nei due sensi, degli Stati Uniti, secondo un'impronta economica che prevede il demando interessato alle proprie strutture belliche dell'apprestamento dei sistemi locali di difesa ed offesa, ma facendone pagare il conto a ciascun alleato.
Così, i coreani del sud dovranno pagargli un miliardo di dollari, i partners della N.A.T.O. aumentare la contribuzione, in una interminabile fase di contrazione dei redditi. 
Solo i Messicani si sono rifiuatati di rifondere le spese o di pagare addirittura di tasca propria l'edificazione del muro contro l'emigrazione clandestina dei suoi connazionali.
Infatti, Trump ha sospeso il progetto. Non costruirà più, almeno per ora, il muro.
Polarità, ma anche prospettive per il mondo occidentale, del tutto speculari all'economia speculativa e inespansiva del suo mondo e dei suoi emisferi.

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