martedì 4 aprile 2017

Nel mezzo di un mosaico di guerre d'interesse e di culture dicotomiche .

Il presidente dimezzato Assad, o meglio, i suoi generali, hanno colpito una città ancora in mano ai ribelli sul suo territorio e lo hanno fatto con i gas tossici, uccidendo centocinquanta persone, di cui un terzo bambini, irrorati anche su di un ospedale.
La guerra di sterminio, del tutto analoga a quella dei campi di concentramento ed eliminazione nazisti, si è consumata tante volte all'aperto, ad ogni latitudine.
Anche le truppe italiane agli ordini del generale Graziani ne fecero largo uso in Libia.
Per le popolazioni arabe insorte o semplicemente coinvolte, comunque vessate, queste infamie vano messe nel conto del simbolo della repressione e dello sterminio, moderno Erode dalla "cautela" olocaustica, che è spalleggiato anche dai russi di Vladimir Putin.
L'attentato di ieri, anche se ad opera di qualche mafia cecena o altrimenti islamica, ci sta tutto: non sono più pulite le motivazioni del simil despota russo e parzialmente ignote la sue atrocità. Che siano state reciproche, poco importa: ciascuno considera solo quelle che ha subito, giustifica i suoi atti di ritorsione.
La guerra asimmetrica va avanti, gli islamisti non accettano di essere relegati e repressi, casomai, in termini ideologici, si prefiggono il contrario, replicano, ormai da decenni, a tutte le intromissioni belliche o finanziarie nei loro confronti, si coalizzano contro l'usurpazione dei loro territori e contro i regimi della loro stessa etnia, sanguinari e venduti a questa o quella potenza, globale o regionale.
Su questo abbrivio e nella massima opacità di motivazioni e di intenti, questa guerra non conosce che un'altra delle sue molte fasi e ne prefigura molte altre.


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